Confetti… simbolo, dolcezze ecc…? No… Cacciato per troppe affermazioni o per troppe domande? (ovvero specchietti per le allodole)

Varese. Una città con vari doppi sensi, tante precauzioni e una borghesia troppo spesso data per impellicciata e trovata per impelliciata. Reazionaria, di quella forma scomoda che guarda solo i piedi, e uggiosa, di quella comunicazione talmente razionale che non ha bisogno di molte parole. Tra il carino e l’umido, tra i laghi, le frontiere, le valli e le montagne basse, questi sono luoghi in cui risiedono i residenti, passano i pellegrini, gli animi lacustri e i tetragoni, e non rimane altro che affidarsi ad una quotidianità produttiva che delle facce ritorte ha fatto un credo.

E così ho preso una tranvata in faccia…

Primo errore, ho avuto poca pazienza. Secondo errore, ho rintracciato l’indirizzo su Google cliccando banalmente Brusa confetti. Terzo errore, sono andato all’indirizzo giusto ma non ho cercato con attenzione. Quarto errore, ho visto un cartellone pubblicitario che indicava in calce il nome della traversa da dove ero appena venuto via perché non avevo trovato nulla. Quinto errore, sono entrato, ho visto dei confetti e mi sono convinto.

E così mi sono ritrovato in una Twin Peaks insubrica, tra l’onirico e l’allucinatorio.

Padre e figlio, Mario e Stefano Bernasconi, intenti a confezionare, pochi prodotti in mostra, delle carte e una storia da raccontare. Nemmeno loro Brusa ma con un prozio, il ragionier Luigi, che è stato il trait d’union tra la storia e la contemporaneità. Brusa, pare, che nella provincia di Varese, sia il cognome preferito dai confettieri. E così comincio a sprofondare…

I confetti, i Bernasconi non li fanno più (o non li hanno mai fatti, questo non l’ho capito benissimo), rivendicano l’originarietà di essere gli unici consanguinei di un Brusa rimasti in Varese, e la produzione se la fanno fare da Buratti a Vimercate che ha standardizzato il prodotto, nonostante ognuno pensi di poter ingerire nella produzione. Sono sostanzialmente rivenditori, gentili, con un buon prodotto finale, abbastanza pulito, e un fraintendimento da risolvere. Il mio. A chi ho mandato la mail?

Non a loro e non a questa azienda. Il Brusa più famoso, e unica fabbrica di confetti varesina, è Ernesto. Chiaramente trapassato e passato di mano. Finito il marchio alla famiglia Usuelli, una ventina di anni fa, la storia è continuata grazie a dei “parvenu del saccarosio”… sempre a sentire in giro e il giro (per carità degli isitituti psichiatrici)…

Così, cosa posso fare io, con mezz’ora libera davanti e una storia torbida dirimpetto? Mi catapulto con la sicumera del sobillatore e del fomentatore. Leggo biossido di titanio, leggo altri coloranti, leggo vanillina e così getto la maschera.

Divento molesto ma con eleganza, un essere umano (!?) di sesso femminile si contrappone con veemenza, soprattutto dopo aver saputo la mia storia mattutina, mi fa entrare in laboratorio, si perde dietro la conoscenza degli zuccheri, celia la mia ignoranza, mi racconta di legami col passato, mi mostra, vicino all’obbligo, le strepitose bassine in rame che la mandorla la vanno a confettare, inizia ad usare un plurale per definire gli odiatori, provo a riportarla al singolare, la sfioro per calmarla, venendo rimandato al mittente, faccio qualche domanda fintamente scomoda, faccio gettare la maschera anche a lei, il plurale diventa singolare e io vengo, poco gentilmente, da questo essere umano di sesso femminile, accompagnato all’ingresso, dileggiato, apostrofato e invitato a non permettermi di scrivere nulla… perché parole sue “se il Gambero Rosso li ha premiati vuol dire che se lo meritavano”. Non mi fa comprare nemmeno i confetti e così sono in mezzo alla strada, senza possibilità… per la prima volta in dieci anni di onorataaahahahaha carriera… eppure di domande ne ho fatte di molto più fastidiose… La faida del confetto varesino, tra scorribande berbere e piani sequenza da incubo… Che Classe!

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