Reggio Emilia. Ci sono delle somiglianze nella borghesia cittadina italiana che non possono lasciare indifferenti. Quello che accade non accade per caso: le stesse torri, i portoni simili, gli absidi sporgenti nella stessa maniera e i campanili nella medesima posizione lasciano indifferenti. È un abbandonarsi lascivo delle stesse persone agli stessi riti e agli stessi miti. C’è un’impostazione borghese che raglia la pianura padana, rimandando sempre la stessa immagine. Un’allegria stemperata dal clima, un modo gentile e rispettoso di rapportarsi alla città, un fiorire di biciclette, mamme e figlie a spasso per negozi, scarpe e giacconi con stilemi ripetuti che non vanno mai ad intaccare la moda né a prevederla, calde cioccolaterie ricoperte di bustine di zucchero, locali per l’aperitivo riempiti da Gazzette dello Sport commentate in un dialetto ripulito, il ganzo di provincia con le scarpe brillanti, le stesse tipologie di strade ripetute ad infinito, con corti, portici, incredibili piazze dell’orologio e una bigiotteria di cortile che ti condanna o al ludibrio o all’oblio. Reggio Emilia è una classica città italiana che non riesce ad interrompere il flusso della bellezza. Il pensiero non viene mai (ed è un mai che dura ben mezz’ora) disatteso.
Così esco dal centro e mi dirigo verso la mia metà. Più suburbana, più sudata. Cremeria Capolinea di Simone De Feo e Monica Fantuzzi, lavoro e vita privata. Data di nascita: 2010. Abitudine al buon gelato (un filo grasso) bolognese, qualche corso in Cast Alimenti, abbandono teoretico dei bilanciamenti senza via di fuga e la decisione di aprire a Reggio Emilia qualcosa che potesse portare anche in provincia (dott. Palmieri?) una qualità senza molti compromessi (qui, lontano dalla Fifth Avenue, nello stesso periodo, sono stati messi in vendita contemporaneamente i sorbetti al cioccolato di Domori, Vestri, Guido Castagna e Silvio Bessone).
Simone è una persona rilassante. Finalmente. Non ha bizantine visioni sugli ingredienti o punti di vista discordanti sulle proteine vegetali, sull’assenza di addensanti, sulla peculiarità delle alghe, su quanto è figo il cibo biologico, e nemmeno pose da gelatiere naturale, con quell’arroganza indotta da anni di trasmissioni sulle intolleranze. È semplicemente rilassante, di una narrazione quotidiana e concreta. Le velleità le lascia ad altri così come l’umiltà. Lui è convinto del suo prodotto fino al dubbio, fino a che una credenza non si trasformi in una convinzione meno profonda e le cose non comincino ad accadere. Per errore e\o per fortuna. E così i gusti cambiano così come le materie prime. Quello che rimane inscalfibile sono i suoi studi e il suo principio verso il buono. Il racconto del piacevole, quel già mangiato che non ci soddisfa fino in fondo, perché una storia è sempre un pre-concetto, ha deciso di lasciarlo fuori. Quando fa assaggiare non pretende e non s’incensa, ma ascolta. Cazzo, finalmente!!!
Il finale è già una riflessione: Simone lavora molto bene l’uovo, nei suoi bilanciamenti, nei suoi sapori ma soprattutto nelle sue strutture. Zabaione e crema hanno delle percezioni di uovo crudo sfumate ma nette. Vaniglia e Marsala si accompagnano perfettamente. La struttura (ma qui un po’ in tutti i gelati di Simone), che rilascia molto velluto, sembra quasi grassa. Il guar ispessisce. Soprattutto nei gusti più classici, quelli che hanno dei parametri d’opinione. È un gelato caldo. Che passi l’ossimoro! Pieno, ricco, non da dopo-cena ma quasi da tutto-pasto. Così, il gelato gastronomico, quella prova che cambia ogni settimana, è perfetto: un gelato da accompagnamento, o da meditazione (rubando le parole di Antonio Cappadonia…), gorgonzola, radicchio e olio d’oliva. Amaro, con un senso anche nell’estremismo di un’abitudine a cui non siamo abituati. La considerazione, al di là del bene o del male, al di là della strepitosa arancia e del limone sotto-tono, del fiordilatte estremamente spinto verso la caramellizzazione, di accoppiamenti azzeccati, dell’uso perfetto della vaniglia e in quello meno perfetto del sale nel pistacchio, è che il gelato di Simone e Monica è diverso da qualunque altro fino ad ora provato. Nessuno strappo, tenuta perfetta, arioso, fintamente grasso, abbastanza dolce ma pulito fino in fondo.
Simone ha deciso per il trittico e per un bilanciamento abbastanza realistico. Ha una percezione sana del proprio mestiere. Le ore in laboratorio devono essere parametrate alla quantità d’aria respirata. Monica sottende quei discorsi che vorrebbe fare senza togliere attenzione al cliente che, nelle gelaterie, si trasforma in un guazzabuglio d’intolleranze e di saperi. I ristoranti e le pasticcerie hanno ancora dalla loro lo stupore del mai passato dall’altro lato (volgarmente definibile come “prezzi non da tutte le tasche”…), in gelateria siamo tutti capitani di lungo corso sulla rotta per i zuccherifici di Madeira… Pazienza. Santissima Pazienza. Ecco la formula di Simone e Monica. Due persone di una bellezza equilibrata…
CREMERIA CAPOLINEA
VIALE ETTORE SIMONAZZI 14
REGGIO EMILIA (RE)