Esistono ancora i gelatieri… Alberto e Anna Sogaro

SAN GIUDA

San Donato Milanese non è un luogo, è una comunità di dipendenti, ex dipendenti, figli di ex dipendenti, nipoti di ex dipendenti, che ruota tutta intorno alla Eni. C’è una tangenziale, ci sono delle concessionarie, qualche industria, una stazione della metropolitana e un cane a sei zampe che contempla tutto dall’alto. San Donato è un posto privo di qualunque diceria. È tutto lì, talmente chiaro da essere quasi programmatico. È una definizione metonimica che prende Metanopoli e la fa diventare una città talmente ideale da renderla distopica.

Non ci sono motivi per andare a San Donato. O si dorme o s’imboccano delle strade. È talmente Hinterland da avere bisogno di una tangenziale per riuscire ad isolarsi. Milano è un sentore comunitario a cui ha tolto qualche lavoratore, regalandogli degli alberi, delle piscine, dei condomini e dei campi da tennis. Tutto qui. Anzi no. C’è la Gelateria San Giuda.

L’eponimo Giuda Taddeo Apostolo è il santo dei Miracoli, qualcosa a metà strada tra il sacro e il profano o tra la confusione e la retta via. Alberto e Anna Sogaro, un paio di anni fa, hanno deciso di aprire la loro gelateria in questo posto da miscredenti. Lo hanno fatto senza clamore e con il buon gusto classico dell’assenza di pregiudizi. Così vaschette e non pozzetti, cioccolato per recepire meglio l’inverno e verticali in vetrina. Il belletto giusto per meglio raccontare una storia.

Alberto è friulano e ha imparato, in un tempo indefinito a cavallo di qualche decennio del ‘900, a fare il gelato in Germania da un maestro della Valle di Zoldo (Cadore), la patria dei gelatieri emigranti e dei gelatieri mantecanti. Poi ha smesso. È tornato in Italia. Ha lasciato lì i mastelli, i mantecatori manuali e le pale in legno e ha cominciato a fare altro. Ha conosciuto Anna, hanno aperto insieme un bar a San Giuliano, hanno venduto tante lattine e tante sigarette, poi hanno cominciato ad assaggiare gelati. Hanno trovato buoni spunti, decidendo cosa non fare e cercando di mantenere vive quattro semplicissime regole cadorine: per imparare bisogna andare a bottega, così è stato per Alberto, così è per i gelatieri che lavorano da loro, mantecatori verticali, uova come addensante e il porzionatore (le palline ndr…) per servire i coni.

Alberto non è un tecnico e nemmeno un teoretico. Lui fa il gelato buono. Ha imparato in Germania dal suo maestro (ora a Cortina), ha ripreso le ricette, ha cominciato a scegliere prodotti di buon livello (la crescita è sempre dietro l’angolo), ha mantenuto i dettami del gelato zoldano (levandogli quella componente zuccherina sempre preponderante), ha continuato ad addensare con la lecitina presente nell’uovo, senza nessun altro emulsionante, senza gomme e senza farine. Ma non per convinzione o chissà quale ideologia, semplicemente per provare a mantenere una tradizione. Il suo rinnovamento passa attraverso il nitore ma soprattutto la leggerezza. Il suo gelato, semplicemente, è pulito. Anna e Alberto non sono teorici o filosofi dell’alga giapponese o della fibra vegetale, ineriscono al loro percorso e ci credono senza convincere.

Niente destrosio, niente invertito ma solo saccarosio. La struttura non strappa, consistente, ottima tenuta fuori dalla vaschetta, nessun succedaneo, palatabile e assolutamente sobrio. In una parola, buono. Panna al 39-40% e latte al 4% di grassi della Cascina Baronchelli, uova del cremasco, nocciola di Emanuele Canaparo poco tostata e non particolarmente aromatica, frutta dell’ortomercato (fragole, pere, pesche, meloni e lamponi lavorati a sorbetto hanno pulizia, sono pieni, hanno gusto e aromaticità, ma soprattutto non variegano con altri gusti, nascondendo il senso e l’origine) da tenere sotto controllo, pistacchio da rivedere, troppo tostato e, come al solito, salato all’origine, cioccolato Domori che non ha più molti perchè (ma riescono a fare una massa che non sappia di bruciato?), zafferano di Navelli di una delicatezza invidiabile, bacche bourbon per la crema San Giuda – la base dei gelati all’uovo è la base del gelato zoldano, bilanciato, con una vaniglia poco aggressiva, niente limone e l’uovo a chiudere il gusto – , lavanda come assaggio, fiori di sambuco sorprendenti con il floreale stemperato dall’agrumato, bacche di Goji di un bellissimo arancione, richiesta del momento e nuovo trend della clientela annoiata, hanno gusto dolciastro, quasi di zucca e una struttura molto areata, quasi da semifreddo, yogurt con acidità controllate, mandorla con troppa armellina e croccante di mandorle (la preziosità di Anna) estremamente gustoso. Tutto molto armonizzato, senza eccessi e senza complessi. I gusti girano e seguono le stagioni. I classici restano così come la tradizione. Un gelato non deve obbligare ad un pensiero ma ad un’esternazione. L’obiettivo non esiste. Sta nella volontà di tradimento o di fiducia. Tutto lì.

Anna persegue la strada dell’accoglienza, della pralineria, del cioccolato e del confetto a tutte le ore, tutti i giorni dell’anno. A terra non ci sono calcinacci. Quell’assenza di estetica muliebre, principio di rovina di gran parte delle attività italiane, qui non riesce ad attecchire. Alberto può così dedicarsi al laboratorio e all’educazione del gusto (suo e altrui) in modo coerente. Niente maschere e niente compiacimenti. Realismo sarcastico e sereno. Serve altro?

 

GELATERIA SAN GIUDA

PIAZZALE SUPERCORTE MAGGIORE 2

SAN DONATO (MI)

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