Bedizzole. Tra Brescia e il Lago di Garda ci si trova in mezzo ad una pianura che non è del tutto estensione e ad un’industrializzazione che non ha ancora completato il suo percorso. Il Chiese è stato ed è tuttora il simbolo di una piana agricola con un passo in più, una digressione da quelle cascine allegoriche da feste nell’aia, applicate alla produzione, con lasciti fascisti, tra Landini e Isotta Fraschini. Perché queste sono terre di trebbiatori e di trattori prima che di mais, di applicazioni a retaggi stacanovisti dove il fanatismo è sempre sceso a compromessi con la produzione. E così l’agricoltura è una continua ascesa per dimostrare che anche tra i numeri, i trattamenti e i diserbanti, si può mantenere una qualità. Qui i terreni non applicano sconti, la differenza tra la pianura del sud e le colline moreniche del nord è enorme. Il mais migliore si fa a nord e il sapore rimane nella grana, in quei mais Quarantini e Ottofile che vanno a costituire l’intreccio di questa storia.
Stefano Ambrogio, insieme ad una decina di soci, ha messo in piedi una Cooperativa che potesse andare a valorizzare un territorio iniquo e una ruralità in piedi solo grazie all’abbandono. Il mulino di Bedizzole è un rustico affacciato sul Chiese risalente al Basso Medioevo, collocato in località Bettoletto, e diventato il set perfetto dove inserire un mulino in pietra del 1800 con palmenti in pietra francese e rabbigliature rivedute nel tempo dei mugnai che non ci sono più. Una volta alla settimana gira per ridare indietro una bramata integrale per polenta assolutamente unica.
La cooperativa ha unito i propri mais – rostrati, quarantini e ottofile – ha provato qualche altra coltura, come il grano saraceno e il Senatore Cappelli, e ha trovato in quel tipo di macinazione un restauro al tempo dei poveri e a quello dei meno poveri. Quando gli ultimi mangiavano polenta intinta nel latte con la forchetta, perché il latte serviva poi per cagliare il formaggio, e i penultimi per mezzo del cucchiaio con il privilegio di poter ingerire anche il latte.
Stefano viene da una famiglia di trebbiatori e di trattoristi. Al posto dei film di Dovzenko, qui ci sono le immagini sbiadite del Duce a torso nudo in piedi su uno dei suoi trattori o a lui direttamente consanguineo. Il tempo è sempre stato quello dell’affitto e del servizio. Così l’agricoltura è diventata un’appendice necessaria e contemporanea. Finito il tempo degli uomini di ferro, bisognava trovare terreni vocati, tra la Val Sabbia e la pianura, dove portare avanti un progetto integralista.
Piccole quantità, macinazione solo su ordinazione, fumetti e fioretti solo per rare ordinazioni di illuminati panificatori locali, e una polenta che non ha bisogno di altro che di un po’ d’acqua, un po’ di sale e un po’ di tempo. Impossibile da sbagliare, l’aroma della molitura rimane inalterato in cottura. La crosta caramellizzata adesa alla pentola, dove il vitreo s’impasta in un croccante veramente raro, sublima l’essenza di un prodotto screditato dal tempo della “pellagra free” e delle stagioni denaturate. La polenta fredda intinta nel latte è una perversione ancestrale.
La serietà però ha bisogno di operatori seri, non di invasati televisivi e nemmeno di casalinghe groupie che fanno la coda dopo l’Apparizione, necessita di panificatori e cuochi che nel tempo hanno ancora voglia di investire. E allora lì, Stefano e i suoi soci torneranno ad amministrare il mezzo verso quella moltitudine di fini simbolo di ritrosia e prodotto…
COOPERATIVA FARINE TIPICHE DEL LAGO DI GARDA
VIA GARIBALDI 14
BEDIZZOLE (BS)