Cogne. Frazione Gimillan. 1787 metri d’altezza di quella civiltà assolata e gentile, dove i borghi si rimpiccioliscono, le strade si puliscono meno, l’acqua dalle fontane scende con la propensione al nascondimento e le chiese si pongono solerti con l’avvertenza di essere sempre e comunque una chiesa. Messosi alle spalle l’atroce, dirimpetto ai valloni escursionistici e superato quel regno del pudore che fa abbassare le voci a tutti, nonostante il metropolitano con lo zaino in spalla pretenda sempre il formidabile, gli ultimi avamposti fioriti e geometrici hanno scartato l’opportunità del selvaggio per una più blanda funzione turistica. E così oltrepassato un casuale parco giochi, ci sono ancora le antenne a dimostrare che il cielo qui ha un senso intimo e castrato. Queste montagne nascono per l’avventura gioiosa, per il diversivo e per il ricreato, fioriscono al solo pensiero. E così non possono mai smentirsi, nel verde e nel ghiaccio. Qui Massimiliano Garin sta provando a mettere radici.
La sua è una famiglia di albergatori, lui, una decina di anni fa, ha potuto investire in maniera contemporanea su territorio e produzione. Una stalla straordinaria, pannelli solari, un po’ di pascolo, un caseificio e una casa dove vivere appena sopra la frazione. L’incontro con Marta, storica vacanziera e ingegnere edile milanese, è stata la pietra angolare attorno a cui costruire una possibilità. Lei si è trasferita lì, cominciando a studiare le tecniche della caseificazione. Ha lasciato che il compagno, timidezza al limite della disaffezione, si occupasse delle Valdostane in stalla, nonostante un’allergia al fieno, e si è messa a studiare i formaggi. Uno storico alpeggiatore del territorio, Giovanni Giolitto, gli ha insegnato a fare la Fontina, loro hanno eseguito ma con le restrizioni italiane e consorziali. Nonostante l’altezza, maggiore di molti alpeggi nella stessa valle, il loro formaggio prodotto in loco, anche nella possibilità estiva delle bestie alimentate ad erba, non può essere considerato d’alpeggio. E così la Fontina va un po’ a cadere, se ne fanno, poche e solo per la rivendita, e si affiancano lavorazioni simili chiamate “formaggio dei pascoli”. Questo il contesto.
A Marta però non bastava e così sono arrivate la toma e le sue variazioni. Nel suo gusto lipolitico, le piacciono i formaggi molto avanti, oltre. Stagionature sui tre/quattro anni per amarezze da bocca anestetizzata. Lontano dai sapori lattici. L’incontro è nel mezzo. Su una toma con la camomilla di montagna non particolarmente stagionata, con naso dimezzato e gusti di cipolla e brodo. Ottima la panna cotta, il Coquadar (omaggio al suo paese natale Nerviano), una pasta molle leggermente pressata che cremifica bene oltre i quaranta giorni. Tutti, eccezion fatta per la Fontina, senza fermenti selezionati, in quella rapsodia casearia che è sempre una sorpresa. E così per andare oltre la noia e oltre il sapere costituito, si sperimentano formaggi con le aromatizzazioni più svariate, con le rotture di cagliate più diverse e con tempi di stagionatura sempre nuovi. Marta produce tanti formaggi, lei non è valdostana, l’ortodossia non la certifica, la urta. E così può venir fuori qualunque cosa, soprattutto una diversità…
AZIENDA AGRICOLA MASSIMILIANO GARIN
FRAZIONE GIMILLAN
COGNE (AO)