La cooperazione casearia trentina è norma normalizzata… Caseificio Sociale di Primiero

Tra Mezzano, Fiera di Primiero e San Martino di Castrozza. Una storia giovane e piccola di commerci minerali, divisioni, unioni, accentramenti e lontananze. Le Dolomiti si sentono, vanno fino al Rolle, si accentrano, diventano Pale e altipiani lunari, si accorpano intorno ad un centro e ad un avvolgimento turistico da cui è sempre meglio prescindere. Code e tubi di scappamento non sono il lunedì mattina. Il paesaggio troppe volte ha distratto, il senso è rimasto un’espressione stupita tutt’al più ammirata, il tempo della perfezione, delle case tenui, dei campanili a punta e dei tetti spioventi ha messo le coperte alle fughe brigatiste, alle nebbie di novembre e agli assembramenti fuori stagione. Il tutto nitido trentino è di una bellezza appariscente, bionda con gli occhi azzurri, la quarta e alta un metro e settantacinque, manca di quel certo non so che laidamente fascinoso. Di facciata, questi sono luoghi manifesti, espressi, come le loro montagne, di un’avvenenza senza brufoli. E così deve essere mostrato e dimostrato. Qui, dove anche la legna è accatastata in maniera artistica. Unione, fierezza, gradevolezza ed esteriorità. Un’immagine da esportare. Così come i “mille” presidi Slow Food prodotti al Caseificio Sociale di Primiero.

Alberto Bettega è il direttore di un luogo che nel tempo ha preso il posto delle vecchie latterie turnarie, sparite su quasi tutto il territorio, come emblema cooperativo e accumulativo. Queste sono terre di vacche, di pascoli, di estate e di montagna. Il Veneto a due passi e il formaggio standardizzato altoatesino a quattro, qui ci si è sempre riconosciuti nel nome, nella rappresentazione semplice, fatta per graduali identità, senza esporsi troppo né alla ribellione né tantomeno alla rivoluzione. Praticello e isolato sono stati sostituiti da chalet e recinzioni, ma il reazionario lo riconosci dai denti e dai sorrisi plastici. Il reazionario non è il conservatore. Qui non si salvaguarda l’individuo ma la collettività. E così, in quella forma di comunismo da giardino fiorito, arrivano il Puzzone, il Primiero, il Botiro e il Trentingrana. D’alpeggio. Parola magica ma ormai fortemente disimpegnata.

Il Trentingrana è lattico, il pascolo nella pasta cotta, così come la stagionatura nel troppo poco tempo, tendono a perdersi. Se si lavora un formaggio con queste caratteristiche, la fretta di vendere non è buona consigliera. Il Puzzone, con i suoi continui lavaggi, tira fuori il pungente fermentativo che, anche nelle forme di malga, tende a coprire parte del resto. Una buona nocciola finale che manca di complessità. Il Botiro lo manco causa stagione sbagliata, il Primiero si pone a metà strada tra Puzzone e Fontina, senza una reale necessità.

È tutto lindo, pulito, giusto e anche buono. Ma ci sono due casari, uno in Val di Fiemme e uno qui. Punto. Le mani sono queste. Non ci sono peculiarità, differenze, stagionalità, pascoli e innesti differenti. Sono caseifici che caseificano. C’è la tara, il peso e la vendita. Manca quell’affezione e quell’errore che in un formaggio raccontano quel di più… forse una storia, forse un ricordo…

CASEIFICIO SOCIALE DI PRIMIERO

VIA ROMA 179

MEZZANO DI PRIMIERO (TN)

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