Gli anni eroici della pasticceria… Gianni Tomasi

tomasi

Verona. Borgo Milano. Passaggi storici tra bachi da seta, gelsi ed edilizia popolare dove il centro ha lasciato da parte la sua sicumera e quella borghesia che ha sempre reso tutto troppo tetragono. Verona è una città dura, schematica, di una bellezza geometrica che almeno nelle periferie mette da parte quel senso algido per rimettersi ai conti dell’artigianalità. In questi luoghi è veramente possibile la produzione, la famiglia e la legge di stabilità. E che i centri storici siano vieppiù svuotati è la conferma di quell’artigianato che, qui, in Italia, non si è mai trasformato in interesse economico. E la pasticceria Tomasi è l’emblema di un mondo con profumi appannati, che riempiono l’aria ancora di verità, di sudore e di una pensione che non arriverà mai. Perché son luoghi che aprono e muoiono con le stesse facce e con le diverse espressioni della felicità e dell’abbandono. Gianni Tomasi ha aperto qui a fine anni ’60 e da qui non si è mai né mosso né allargato.

La sua è un’avventura che è molto più di un’epopea e che è arrivata a traguardare il 2015 con incredibili variazioni sul tema. Nato a Vicenza, discola gioventù, impiego nella pasticceria dello zio e giri a Verona a trovare la sorella che qui si era stabilita. Impossibile resistere a quelle vetrine di quei maestri offellieri che stavano riscoprendo la pasticceria e i lievitati come simbolo e come tradizione. Il Pandoro ha sostituito nelle abitudini natalizie il Nadalin, troppo asciutto e poco grasso. In questa maniera, da un errore di un pasticciere di corte e da una trasformazione grassa di Domenico Melegatti, a fine ‘800, il simbolo veronese vedeva la luce come oggi lo conosciamo. Ma il lievito madre aveva lasciato per strada la sua eredità più atavica. Così, verso la fine degli anni ’70, insieme ad un lattoniere che gli mise a punto lo stampo stellato, ha deciso di arricchire la ricetta, aggiungendo burro e rendendolo chiaramente più umido e soffice al palato. Lentamente è tornato nei cuori natalizi dei veronesi assuefatti, quelli che l’avevano perso e l’hanno ritrovato come una sintesi. Perché il lievito madre non si poteva perdere in quelle aziende che tutto hanno adombrato, doveva rimanere in pasticceria e doveva avere il suo dolce iconico.

Gianni Tomasi è tutto qui, in quegli occhi che si schermiscono ai complimenti sul croissant, in quella pasticceria familiare che non ha smesso, nonostante le avversità, di creare, inventare e ricreare, come quelle mandorle sulle brioche, retaggio francese, che arricchiscono la colazione in una maniera sopraffina, o quelle creme al burro diventate decorazione per dolci contemporanei di un equilibrio assolutamente fuori discussione. Perché Gianni è un grande pasticciere che non si è mai dovuto adattare ma ha sempre infuso la sua maestria nel dolce al di là di qualunque chimica e di qualunque estetica. Il cioccolato è dosato su un’arancia che è veramente un’arancia e come tale esce, il croccante delle noci si sposa al burro e allo zabaione in un equilibrio sinfonico, il pan di Spagna, non particolarmente elastico, tiene bene l’umidità di una bilanciata banana e di una nocciola, poco territoriale, ma assolutamente morbida, in quell’alternanza tra gianduia e croccante che riempie sempre il palato. I suoi dolci sono pieni e vividi, sono l’immagine che non ti aspetti di una tradizione che non è stata abbandonata ma che è rimasta alla base. In quei lievitati e in quelle sfoglie che lasciano il tempo al tempo. La creazione di Fausto Bertolini, la “Piccola Arena, al di là del mandorlato, ha una bella umidità, sfiocca bene, burro e agrumi a posto, morbidezza e poca masticazione. Ecco di nuovo il contemporaneo.

Gianni Tomasi, la cui sublimazione è una crema pasticcera estemporaneamente messa dentro un cannoncino, è una persona tranquilla, che ha fatto quello che doveva fare e che la cresta dell’onda preferisce tranquillamente lasciarla agli altri. Perché lui, anche ora all’interno dei simposi di Accademia, sta tranquillamente in disparte lasciando al professionismo la strada del professionismo. Un artigiano, con due occhi appaganti al di là delle incoerenze e al di là delle dimenticanze, che lavora in maniera periferica in un luogo periferico. Senza mai alzare il sopracciglio e senza quella vanità che avrebbe potuto mantenerlo in vita in un modo molto più autoritario. Gianni semplicemente è un artigiano di mani, una di quelle persone da guardare, all’interno di un laboratorio, produrre pasticceria: finitudine di profumi e consistenze…

 

PASTICCERIA TOMASI

CORSO MILANO 16/A

VERONA

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