La cooperazione è un discorso filologico… La Peta (Mario Costa)

la peta

Costa Serina è un nascondimento nel nascondimento. Adagiata com’è su quella mezza montagna al di fuori dall’interesse e dallo scorrere frettoloso delle abitudini. Che qui sono impermeabili alla noia perché della noia sono impregnate. E così non si può fare altro che continuare a girare intorno ai tornanti e guardare con diseducazione quelle case messe in piedi dai magutt bergamaschi che han reso tutto una miscellanea di pareti bianche e tetti spioventi, dove il legno e il cemento formano l’immagine di uno straordinario stacanovismo orobico e dove il passato continua sommessamente a diventare una forma di dimenticanza. Così si passa da Trafficanti a Vino cattivo fino a tutti quei nomi identificati da anfratti, usanze e punti vendita della valle: sbocchi tra la Val Brembana e le mitologiche “ora e un quarto da Milano” che al piccolo borghese non han mai lasciato scampo. Perché la val Serina è una serie di villini all’ombra venduti sulle reti private da sedicenti ammaliatori in camicia abbronzata per poche migliaia di euro… previa chiaramente soddisfazione personale…

… ma non è solo questo… basta prendere una strada che non porta da nessuna parte e ci si ritrova trasportati nel confessionale mondo della Peta, cooperativa nata vent’anni fa da un’intuizione di Mario e di Bebe che hanno preso in carico un luogo donatogli da un sacerdote locale, trasformandolo in un posto raro, unico probabilmente. Hanno permesso la libertà alla proprietà privata senza bisogno di fanatismi.

La troppa bellezza è già di per sé un’antitesi. Superati i racconti degli entusiasti agrituristici… con armata di amici post-parto giunti per addomesticare il selvatico accarezzando capre e raccogliendo erbe… si arriva giù nella stalla-caseificio, regno di Mario Costa, senza alcun dubbio, uno dei più bravi caprai italiani.

E le spiegazioni vanno molto oltre il contesto di pulizia, di perfezione stilistica e di precisione di lavorazione, si trovano in maniera autentica nel più banale degli errori: una formaggella presamica più bassa delle altre che, dopo aver stagionato un mese al posto di tre, tra il caso e la necessità, viene aperta. E io, necessariamente, non posso esimermi. Straordinaria. Quel formaggio di capra che sanno fare ancora due o tre in Italia. Senza svenevolezze francesi e senza sapori melliflui, erborinati o proteolizzati. Con quel retaggio alpino da animale povero e con quella tradizione strozzata da scelta al di là di tutto. Sapore di nocciola e fieno verde, crosta edibile e con un filo di muffa, lattica ma solo come retrogusto, masticazione facile e piena. Un formaggio che definisce le chiacchiere, il tempo investito e i tornanti fatti con un braccio solo. Un’eccellenza che pregiudica tutto. Perché Mario ha un’attitudine verso l’apertura e verso l’empatia. Una coscienza di classe che non lo lascia solo nemmeno con i suoi desideri. Quelli che lo vedrebbero auto-prodursi il suo fieno e farsi il suo latto-innesto al posto dei fermenti così salvifici nei formaggi caprini.

Lì in mezzo sta il sapere dissimulato di un casaro che munge da sé e caseifica una volta al giorno, lavorando mirabilmente su tempi d’attesa, temperature e Ph. Il fermento viene nascosto in una sorta di innesto portato a temperatura e fatto raffreddare che, portando alla stabilizzazione di un’acidità sempre messa a tema, serve come base per il formaggio vero e proprio. Attraverso i tempi di riposo notturni e attraverso l’utilizzo del carbone vegetale (elemento basico) per le sue piramidi lattiche, elimina i residui sull’altare della pulizia. Nonostante la quantità di batteri perduti sia un rimpianto, il suo formaggio è di una nettezza precisa. Il caprino fresco valga per tutti: manca il citrico e manca il dolce, trova quell’acidità rilassata che tutto corrobora. Bello, palatabile, morbido e assolutamente conservabile. I compratori di latte non eleveranno mai l’errore ad una differenza. È per questo che la compravendita non può mai essere un fatto artigianale...

Qui la cooperazione, l’aiuto alle persone distanti, ai preti stanchi e a quelli dubbiosi, è la normalità del passaggio. Bebe mi mostra le cose ma senza l’enfasi della grandezza. Perché qui è veramente tutto raffinato. E il merito della creazione se lo tolgono per un più frugale mantenimento. Perché le cose serie devono anche essere belle, di una bellezza rilassante, come la quarantina di camosciate delle alpi tra la stalla e i pascoli, come i formaggi con il penicillium candidum in crosta che stagionano all’interno delle celle, mantecano e proteolizzano il gusto francese in una mescolanza orobica assolutamente congeniale a questi silenzi. Perché qui la notte deve essere un passaggio obbligato di coesione, dove rigenerare il pensiero debole, rimettendolo in circolo…

 

AGRITURISMO LA PETA

VIA PETA 3

COSTA SERINA (BG)

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