Il critico gastronomico è mai esistito?

critico

“Divertirsi significa essere d’accordo. Divertirsi significa ogni volta: non doverci pensare, dimenticare il dolore (la fatica ndr) anche là dove viene esposto e messo in mostra”

Anonimato, anonimato, anonimato. Chi ha voglia di anonimato? In pochi ormai. Il riconoscimento del sapere nascosto, dell’azione sottesa, dei François-Joseph Le Clerc du Tremblay di questo mondo e di un mondo che non c’è più, non sono più imparzialmente interessanti, mancano ormai di quel meccanismo per cui la vanità è una qualcosa per illuminati, per notti senza sonno e per dialoghi intimi prima del bicchiere. E così bisogna andare a riempire la saccoccia, dando credibilità attraverso il proprio nome a delle mezze vie che rischierebbero di finire in periferia. E invece c’è lui, il (fu mai) critico, la persona che può tirarti fuori dalle secche della popolarità dandoti un bordo gastronomico. Si fanno eventi, si crea aspettativa, si chiama a rapporto i blogger, si fa scrivere, si invitano gli chef, si prende l’assegno e si continua a cortocircuitare un mondo dove non bastano più gli editori (ormai diventati larve pedisseque di mangiatori instabili) ma servono altre entrate. I piccoli artigiani arrivano a mala pena a fine mese, sono vittime inconsapevoli di giornalistucoli redazionali dalla questua sempre pronta, e così si va in quel mondo che non è ancora industria e che mai è stato artigianato, dove i fatturati frullano bene oltre i cinque milioni annui (che non vuol dire molto ma non importa…). È la vittoria del pubblicitario (che se ammettesse la propria funzione nessuno avrebbe da dargli indietro se non una mano sudata di complimenti) e la morte del critico. Che qui diventa Mercenario.

Poi c’è una seconda categoria di cortocircuito, più infida e irrispettosa. Quella etimologica. Critico (kritikòs) arriva dal greco Kritòs, aggettivo verbale di krinò: separare e solo figuratamente decidere. E quindi arriva da crisi e da crine (i capelli che cadono separati dalla fronte o i peli che pendono al cavallo). La crisi è il momento che separa una maniera di essere o una serie di fenomeni da altra differente, stato di un uomo agitato da vive passioni. Quindi il critico deve entrare in crisi per poter discernere.

In quel tempo del senso figurato, dove bisogna rendere tutto più icastico, il critico è diventato un giudice, anche lui impegnato a dividere il bene dal male, il buono dal meno buono, il ristorante stellato da quello illune, ma senza entrare in crisi e soprattutto senza fare entrare in crisi l’altro da sé, quell’unica persona per cui il lavoro della critica può rappresentare un profondo cambiamento di visione, una manifestazione di incertezza sulla strada dell’equilibrio, un’opportunità di fragilità, dove mettere da parte le sicurezze e le sicumere da claque maleodorante.

La crisi è lontana anni luce… oggi si consacra, si elegge, si vota, si predestina, si sancisce, si acclama, si loda, si intitola e si riconosce la paternità artistica. Otto, cento, quindici cappelli, diciotto stelle, un po’ di depressione, una scarica di adrenalina, la tovaglia poco stirata, le briciole sotto il bicchiere, il tavolino sporco, la cameriera non impeccabile, le troppe domanda, la cucina confusionaria, le poche coccole, il poco tempo dello chef destinato alla chiacchiera, il genio sempre in bocca, il formidabile sempre in bocca, l’eccezionale sempre in bocca, le parole svuotate di qualunque senso e le parole messe lì a caso per darsi un tono e una cultura al di fuori dal becero gozzovigliare. “Effettivamente io ho letto Adorno… qualche paragrafo… Aspetta che adesso lo sparo lì tra una carbonara rivisitata e un dripping di mare… tanto l’artista è sempre un succube… per natura”. E così non si collabora ma si demolisce o si esalta… per épater la bourgeoisie.

Il critico deve entrare in crisi, non dare voti, non fare classifiche, non vendere spazi pubblicitari. L’industria culturale, altrimenti detta fabbrica del consenso, dovrebbe avere una creazione e una critica, un creativo e un critico, un artista/artigiano e un divulgatore…

Se poi il valore di scambio si è sostituito al valore estetico… allora viva il numero e il panettone che mi è stato regalato dal pasticciere per blandire le mie asperità…

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