Il Formai de Mut senza patine… Gianfranco Paganoni

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Alta Val Brembana. Isola di Fondra è un paese che non esiste, le anime sono in disfacimento. Forse un centinaio, forse una cinquantina. Frazioni e molto abbandono. Una straordinaria conca dove il sole si vede poco, dove i larici si alternano agli abeti, garantendo all’autunno la propria appariscenza, e l’acqua, tra il Fiume Brembo e le cascate laterali, intacca la pietra, le chiese e i ruderi rimasti ormai corrosi dal giallo. Ormai c’è solo vista. Ci sono le stagioni, sì, c’è qualche lavoro, ci sono i versanti ripidi della Pietra Quadra che si abbattono sulla possibilità di continuare a richiamare persone e poi c’è quell’opportunità vana di restarci o di passarci. Lì, nel rombo dell’acqua che mette tutti i dolori a posto, in quella vista esoterica che va a sfiorare la prima neve autunnale, turisti dello sci e malgari si dividono il passaggio ulteriore, quello verso la montagna vera, o almeno quello che le Orobie hanno ancora da offrire. Questi paesi, ad ottocento metri d’altezza, sono l’anima perduta di quell’Italia che non ha l’aspetto laccato dei pascoli felici e dell’accento teutonico, che non ha saputo re-inventarsi un modo per portare il decadimento, le centrali idroelettriche e l’intransigenza delle scuole con il predellino al di là del secolo breve. Così le sparizioni diventano più fughe che morti ed Isola di Fondra rimane lì già nella memoria di un passaggio e di quei muri scrostati che hanno reso celebre l’Italia nel mondo. Così, senza nemmeno accorgersene.

La famiglia Paganoni ha un accesso sulla strada e un terrazzo sul fiume. Adesso vive in paese ma la storia (e anche le indicazioni sul web) la riporta in frazione Cornelli, sulle pendici del monte Torcola, da dove, causa abbandono delle strade, è stata costretta ad andarsene.

Gianfranco, sua moglie Anna e la figlia Valentina stanno portando avanti quella tradizione contadina autarchica che della Val Brembana ha reso tutto un po’ più oscuro. I terreni che hanno di proprietà sono troppo pendenti e inutilizzabili, così, stalla, alpeggio e terreni per pascolare sono tutti in affitto. Nel Formai de Mut non esistono sconti patinati, ci sono allevatori evoluti, pochi, e i più sono nascosti tra le rocce e la neve. La famiglia Paganoni è l’unica a cui manca una proprietà, lavorano in tre tra Branzi e Fondra e una persona in più in alpeggio (all’Alpe Foracchio Toraggella di Moio de’ Calvi) e hanno un pregio assoluto: il loro formaggio è addizionato con bassissime quantità di fermenti ed è assolutamente il più equilibrato e profumato che si possa contendere. È proprio diverso. Latte crudo, pasta semi-cotta a 47 gradi, rottura della cagliata in chicchi di riso, spurgo, qualche giorno in salamoia e stagionatura di almeno tre mesi. Le forme vanno dai 10 ai 15 kili. Rosso il formaggio di fondo valle, blu quello d’alpeggio. I prezzi rimangono calmierati su un senso di sopravvivenza che nessuno potrà mai scalfire. Demagogia: i soldi non corrispondono alla fatica. Democrazia: il sapore sì. Ed è tutto lì. In quei pascoli, in quelle brune alpine che non danno più di cinquanta quintali di latte all’anno, in quella perfezione olfattiva raramente trovata. La tessitura ricorda quasi un Comtè, la morbidezza una Fontina. I tredici mesi sembrano cinque. Non c’è umidità, non c’è “cantinato”. Il rame, il legno e soprattutto una perfetta cantina di stagionatura dirimpettaia al letto del Brembo, da dove non escono né stantio né ammoniaca, fanno tutta la differenza del mondo. Un fantastico formaggio con una storia ma senza una mistica perché la leggenda è aliena da questi pascoli fatti di lavoro, ricordi e “bergamini”.

Perché Gianfranco è stato anche questo. Bergamino, fittavolo, alpeggiatore, allevatore e contadino. La transumanza durava tutto l’anno. Si arrivava nelle marcite della bassa padana (“il paradiso dei poveri”), si affittavano terreni e cascine e si passava l’inverno con le mandrie. Non c’era stanzialità e non c’erano proprietà. Una forma di comunismo rurale dove i soldi diventavano convivialità e trattazione. Sono storie laceranti di un mondo che non esiste più se non per pochi o nel folklore. È talmente difficile l’immagine da non riuscire a ridarne indietro dei confini delineati. È un brivido pedissequo da stanco romanziere di provincia. Così, continuo ad osservare Gianfranco che guarda scolare i suoi stracchini e i suoi agrì (mantenuti in vita dalle tradizioni familiari di sua moglie Anna, originaria della Valtorta, e per suo cognato, che se li fa stagionare da “grattugia”) e racconta di un mondo dove sono rimaste poche mutande stese al sole. Gianfranco, vista la razzia che è stata fatta della sua montagna, con le iene e gli avvoltoi a prendere il posto delle vacche, tra consorzi, affinatori e compagnie di ventura, ha deciso di rimanere solo e di considerare il nero ancora nero.

C’è troppo fumo su questo formaggio che si è deciso di lasciare nudo, senza difese, senza una mitologia, senza un racconto… così nella bontà di una valle che è poco più che tenue…

 

AZIENDA AGRICOLA PAGANONI GIANFRANCO

VIA TORCHIO 17

ISOLA DI FONDRA (BG)

 

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