L’anima scura del Carrobiolo (!!?!?)… Pietro Fontana

carrobiolo

Monza è una città grigia, senza eminenza, quasi sepolta. I viali alberati portano realtà più che realismo, le rotonde hanno attorniato il parco e le strade divelte hanno reso più facile il vassallaggio nei confronti di una provincia mai sentita come tale. È una città borghese in decadimento, con gli acciottolati, gli accenti anti-melodici e le abitudini a considerare il passato come l’unica fede nella sparizione delle brutture. La Feltrinelli si chiama ancora Ricordi e il Palazzo dell’Upim troneggia enciclopedico per una resistenza diventata vilipendio. La Monza da bere ha portato poco alla gastronomia, sicuramente meno delle sue appendici brianzole e sicuramente più di quello che la gente del Campari pensa di avere tra le mani. In una di queste piazze senza destinazione d’uso, Pietro Fontana ha deciso di trasferire il suo opificio brassicolo dal convento che l’ha ospitato per anni. Il Carrobiolo si è rinnovato e ha creato un luogo che qui, prima e qui, dopo, non c’è mai stato e mai ci sarà: un brewpub di una bellezza contemporanea, mattoni a vista, legno e vetro.

Il decisionismo lo ha subito lasciato per una più fervida collaborazione. Cinque/sei spine di birre e una cucina in fieri che guarda all’estro senza dimenticare la ragione. Ecco! un po’ di terra in più, con quegli artigiani che ruotano intorno a Pietro senza scomporsi in quella collaborazione che solo chi produce può produrre, potrebbe infrangere meno preconcetti ma dare quel senso di normalità equa, senza privilegio, che ormai la cucina “formidabile” dei preparati formidabilmente acquisiti ha totalmente divelto. Pietro deve dare alla sua birra l’occasione di stupire e non la pur straordinaria loggia del contesto.

Al Piccolo Opificio Brassicolo del Carrobiolo si mangia molto bene e molto diverso, ma questo è un altro problema, è un problema di filologia, di storia e di necessità, quella che un candido perspicace come Pietro non può permettersi di disattendere.

Frammenti di storia: anni’90, appassionato di Guinness, come molti; 1996, anno in cui aprono i primi mico-birrifici in Italia, Birrificio Italiano, Lambrate, Beba e Baladin (anche se, ad onor di cronaca, pare che il primo microbirrificio italiano sia Il Mastro Birraio, nato nel 1994 a San Giovanni sul Natisone in Friuli), “complice un cambiamento della norma sulle accise che non prevedeva più la presenza del funzionario dell’Ufficio tecnico delle Finanze che accertasse l’alcol producibile per ogni cotta di birra prodotta, ma rimandava gli accertamenti a strumenti più tecnici”, Pietro incomincia ad assaggiare; fa un viaggio in Inghilterra dove compra un kit da autodidatta e comincia a farsi la sua birra; in mezzo si laurea in Pedagogia, diventa un operatore nel sociale, sfruttando quell’imperturbabilità che in sua compagnia è una trasmissione di quiete e torna al suo amore primigenio, farsi la sua stout; 2008, insieme ai Padri Barnabiti, nasce il Piccolo Opificio Brassicolo del Carrobiolo – Fermentum; 2014 la produzione si sposta in Piazza Indipendenza e nasce l’annesso BrewPub.

Frammenti di basi comuni: la birra non viene filtrata e non viene pastorizzata, si guarda tanto al Belgio quanto all’America, il malto arriva dalla Germania, i lieviti sono selezionati tra le varie fermentazioni e i luppoli sono selezionati tra le varie amarezze e le varie speziature. Gioca abbastanza e non si appiattisce, guarda il territorio ma senza mode. Usa il farro e il frumento locale, calibra bene le luppolature, gli agrumi hanno un senso se servono a bilanciare, la dolcezza del malto non è mai monocorde e il suo lavoro sul torbato è veramente ben fatto anche scommettendo sul futuro barricato. Quando ti aspetti il corpo arriva la leggerezza che non è sinonimo di facilità ma di piacevolezza. L’essere beverino non lo convince tanto quanto la stupefazione. Così il palato non fa capriole ma nemmeno pennichelle. C’è molto fieno in tutte le sue birre… è come se prevalesse sempre il ricordo… su tutte, rimane comunque la sua stout selvaggia, floreale e tostata…

Pietro lavora sottotraccia, senza manifestazioni urgenti e senza quel ceppo brassicolo che mi fa vedere nei birrai dei quarantenni cresciuti tra il disagio dei brufoli, quello degli apparecchi, l’isolamento dello stone-rock, i letti mai rifatti, un po’ di musica indipendente, la tipa dark con le ciglia di sette centimetri, la partita di magic e i tavoli di legno alla sagra fuori dal 111 sulla Rivoltana… ecco, forse il senza è esagerato… ma Pietro rimane poco manifesto, anti-contemporaneo, sobrio ma soprattutto brillante, di una brillantezza innocente, di un candore da mondo parallelo, sempre un passo avanti la critica e un passo indietro l’estetica contemporanea… a latere, pub, imbottigliatrice, tini, laboratorio e chiostro sono di un’eccellenza assolutamente molto oltre qualunque aspettativa… ecco dove risiede veramente la stupefazione… è una surreale conversazione che sospende l’incredulità… la sua birra è illogica…

 

BIRRA DEL CARROBIOLO

PIAZZA INDIPENDENZA 1

MONZA

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