Il Parmigiano e la conformazione di un territorio… Umberto Avanzini

Rivalta di Lesignano de’ Bagni. Colli Matildici. Dove l’Appennino parmense ripete se stesso. Con il suo trivio di prospettive, con quella vista che va dalla Toscana alla Liguria, che rimane intruppata in mezzo all’orizzonte. Soprattutto quando la foschia copre la pianura e quelle colline, che non sono del tutto montagne, rimangono sospese per essere osservate. Qui, le increspature e i calanchi del territorio lasciano molto verde e poche costruzioni. Lo charme è distante, soprattutto nella declinazione dell’accento e nel numero di decappottabili. Le vetture sono l’agricoltura e gli agricoli sono l’anima di queste curve, anche dove è arrivata la finezza, anche dove la visione trasognata nella voce di Elizabeth Fraser non è riuscita bene a razionalizzare il tempo e la perdita di tempo. Solo la puzza dei maiali ha tolto la velleità estetizzante di darne una fotografia morta. E così mi accorgo di essere arrivato alla mia meta: Azienda Agricola Iris.

Odore di letame, caseificio carcerario, cancello et voilà, un’antica dimora agreste squadrata dalla pietra. Fascino e abbaglio. La luce da fine del mondo mi percuote di essere arrivato. Alla fine o finalmente.

Mi accoglie la signora Cecchi e mi dice di aspettare. Non sono atteso ma quell’immagine non può illudere. Così arriva anche Umberto, un bonario fazendeiro appenninico, che mi propone una sedia e un computer.

La sua è una storia di lotte e di scelte. E sul Parmigiano l’oppressione corporativa è dietro l’angolo. Passa dal dileggio alla soggezione. Senza il consorzio, senza quel marchio di lode (o d’infamia?) non si va da nessuna parte. Né nella vendita, né nella comunicazione e nemmeno nella degustazione. La necessità è dalla loro parte. E così bisogna chiudere gli occhi e tapparsi il naso. Umberto e suo figlio Davide sono imprenditori-casari. Trasformano il proprio latte, le proprie 3-4 forme di Parmigiano al giorno e rifulgono nel concetto di rarità. O forse di unicità. In queste lande consorziali, il sapere pratico è nelle mani dei dipendenti. In pochi si sporcano le mani o ne sentono il bisogno. E la loro non è nemmeno una sfida, è la normalità. Quella che fa dire a Umberto “prima o poi anche mio figlio, occupandosi di troppe cose, dovrà abbandonare l’artigianato e preoccuparsi della vendita e della promozione”.

Anime scientifiche necessitano di certificazioni. E così, nel 1997, si sono convertiti al biologico e pochi anni dopo hanno sviluppato un sistema a raggi X (che monitora le forme nei primi otto mesi) che, permettendogli di evidenziare eventuali occhiature fermentative o gonfiori, dividono il prodotto finale in varie tipologie di scelta (dalle quattro stelle alle due stelle) e in varie tipologie di costo. Senza l’ombra del dubbio, senza la necessità della spaccatura e della speranza. Con la volatilità fascinosa della poesia che sparisce in un determinismo economico e salutistico.

Questa “tracotanza” ai caseari ispettori non è piaciuta. L’autocertificazione avrebbe eliminato il loro martelletto. Gli Avanzini, quindi, si sono mostrati dorotei… sono andati avanti lo stesso. Con i raggi X e con gli ispettori. Che poi questi controllino latte proveniente dalle province più remote dell’impero poco importa al numero, al confezionamento, all’interesse mondiale e alla lotta contro la sofisticazione….

Il parmigiano Iris è assolutamente complesso. Nei 24 mesi la dolcezza non è facile, manca del fiore, manca del fieno. C’è una struttura diversa. È come se fosse lattica. Ma non al gusto. Le vacche in lattazione sono in stalla con possibilità di uscire. Il pascolo non ha la ricchezza ma ha l’affienamento. Granuloso ma morbido. I due anni di stagionatura arrivano nei retrolfatti, così come la dolcezza che mi aveva confuso. I 36 mesi sono un piccolo capolavoro di dedizione: tralasciando tutto ciò che si può trovare in un’analisi sensoriale, a diverse temperature e a diverse condizioni, dove spuntano dai funghi al tarassaco, non arriva nessuna sensazione trigeminale, così tipica per queste stagionature. Il piccante è controllato così come l’astringenza, arriva una dolcezza inconsueta per queste lavorazioni. La persistenza comunque è lattica, anche nell’unghia.

Il resto della produzione, eccezion fatta per una panna cotta veramente fatta bene (densa, ricca e assolutamente pulita), è corredo: qualche caciottella-stracchino a latte pastorizzato, una crema di parmigiano interessante in cucina, e il Pioniere, quello che dovrebbe essere il progenitore del parmigiano (doppia munta intera) a crosta nera, meno dura, più unta e lavorata con “cenere” e olio, nove mesi di stagionatura e un sapore non particolarmente definito, dove le notedi gruyere vanno a coprire le altre.

Dopo i racconti, Umberto inforca la sua jeep, mi carica, dribbla la mia fretta e mi apre un mondo. Mauro Ziveri, gran visir della vaschetta ad atmosfera protettiva, mecenate, imprenditore, produttore e ristoratore, ha visto il territorio e ha creato un gioiello ben nascosto. Curva a destra e ingresso in un recinto. Avanguardistica struttura ad uso e consumo di maiali neri parmensi. Niente semi-bradismo ma purissimo stato brado. Solo delle tettoie dove ripararsi e poi libertà. Piantumazione di alberi di quercia per le ghiande e cereali. Il tutto in espansione. Di una bellezza da togliere il fiato. Umberto gestisce il tutto. L’allevamento e il fascino. I prosciutti, e devo fidarmi per forza, sono senza definizione. Così, al parossismo della mia brama, mi riporta verso l’azienda. Non si ferma. Dietro è nascosto l’ennesimo inatteso. “Frutti antichi e suini neri parmensi”. Ecco il nome e la missione di Ziveri e di Avanzini di ricreare un desiderio. Così, con i fichi, l’uva e le mele scomparse, con il grasso insaturo e il latte biologico, con i parchi integrati e con il selvaggio addomesticato. Eccola la presenza dell’homo faber che ha appreso dalla natura senza la necessità di sconfiggerla. Qui si creerà cultura a partire dalla terra e da un Appennino mai stato così vicino alla sua vocazione…

 

AZIENDA AGRICOLA IRIS

VIA TORCHIO 12

LESIGNANO DE’ BAGNI (PR)

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