Sofisticatori /2: Sostenibilità

Sostenibilità:Tenere fermo sopra di sè. Niente di più e niente di meno.

Una parola di cui si riempie la bocca Slow Food quando parla di progetti, agricoltori e campesinos peruviani… Ancorchè abbia chiaramente ragione, quella sostenibilità manca di attrattiva, di selfie, di quella moda da autoscatto al funerale di cui non possiamo fare a meno. Così la sostenibilità passa dalla terra alle cucine fino alla televisione.

Ci sono chef che vanno in Tv, grandi grossi e pallonari, che insegnano a ristoratori mezzeseghe come far quadrare il bilancio (nella vita squilibrata 2.0) per poi non pagare il pane agli artigiani, nei propri ristoranti. Altri chef non pagano la carne.

Altri chef, sulla via Emilia, stipendiano 25 disgraziati e, chiaramente, non potendoli campare di sola cucina, abbandonando mestoli e grembiuli, li campano con conferenze in giro per il mondo in cui discettare di formiche (sostenibili in quanto Amazzoniche), con vernissage di mortadelle artistiche e con “alfierismi” di italianità nel Mondo, in cui ubriacarsi insieme alle tipiche vacche da food blog, con scritto scopami sulle tette cadute che, prima della scoperta del porn food, non voleva nemmeno il classico idraulico da film del Maestro Salieri.

Altri chef, questi bravi, non guadagnano un cazzo di euro con i propri piatti e, ogni mese, il mecenate che tiene in vita il ristorante come giocattolo, gli butta dentro 30000-40000 euro per dar vita alla Consonno  balocchista (che invito tutti ad andare a vedere…) degli anni ’10 (e non quelli dei bolscevichi).

Poi ci sono quelli che dicono che tutto è in mano alla critica e che bisogna fare sistema, organismo, perché se no non se ne viene fuori, non si è più sostenibili, perchè il riccastro andrà a mangiare la cucina Kaiseki a Kyoto al posto del pollo alla diavola a Gaggiano. Un Gramsci della cucina. Uno che non crede alla volontà di potenza e alla volontà di opposizione. Uno che crede che lo Sceicco dal dollaro unto, se lo volesse, potrebbe comprare tutto ciò che conta dell’enogastronomia italiana: 20 ristoranti (gli altri, poverini, pagano solo le tasse…), tre guide, due giornali, due blog e un paio di supermarket (tra cui il genio che esporta Nutella in giro per il mondo… come se Ferrero non fosse bravo già da sé a piazzare i propri prodotti…). Evviva l’acredine (mia) e la sostenibilità (loro).

Ecco, poi ci sono gli esempi di sostenibilità vera, sempre tra gli artigiani (ma anche lì ci sono quelli costretti a catering, consulenze e markettoni…), che riescono a campare, bene, col proprio lavoro…

Per la serietà (i primi due che mi vengono in mente):

 

Vannulo e Remelli

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