Il Pastore di Felina ovvero Pecorini dell’Appennino reggiano… Roberto Ribecco

Fariolo. Felina. Castelnuovo ne’ Monti. Una strada. Uno sterrato. Delle cascine. Il percorso che si snoda dalla via principale si dimentica per vari attimi della pietra di Bismantova, chiudendo una parte dell’altipiano appena aperto. In quel verde roccia che non dissimula l’ardimento verso il passato e la voglia di stare al passo con i tempi, con i suoi sguardi tenui fin dove Giovanni Lindo ha preso dimora, passando da Dante e rimanendo imbrigliati nella disaffezione emiliana, quella di cui non parla nessuno, quel sanguigno, che non è sempre familiarità, può diventare pregiudizio e prevaricazione. Le case non finite si dipingono con le balle di fieno e quello che resta si getta in un selvatico informe che dell’Appennino si porta dietro i colori più scuri di qualunque montagna. Qui in mezzo, dietro i soliti cartelli che definiscono le frazioni come dei luoghi misteriosi dove i vicini di casa non sembrano mai quello che sono, un allevatore pugliese da quasi vent’anni ha portato il suo gregge e ha cominciato a fare formaggi.

Roberto Ribecco è chiamato da tutti semplicemente il Pastore, basta questo a definirlo. Ha dovuto lasciare la provincia di Taranto (zona di cacioricotte e zona di pecorini) dove la famiglia allevava animali e faceva il formaggio. L’Appennino è stato un’improvvisa infatuazione non benevola. Il tempo ha mitigato le cose, le sue bestie, pecore, capre, galline e tre o quattro Jersey, hanno fatto il resto, mantenendo prati e bosco. Lui, appoggiato da sua moglie e da suo nipote, non ha spostato di un centimetro l’asticella dell’antico, provando attraverso l’anacronismo a riportare tutti verso un’idea di natura. Pascolo dieci mesi all’anno, fieni autoprodotti, mangimi risicati, stalle ampie dove capre e pecore stanno serenamente insieme, mungitura a mano degli oltre cento ovini, latte crudo, caglio che è meglio non si sappia la provenienza, nessun fermento, ricotta di solo siero agitata ancora con il bastone di legno, cagliate presamiche, cagliate termiche e cagliate termiche/presamiche (cacioricotta), maiali macellati e trasformati in loco, salami, salsicce, guanciali e qualche prosciutto in stagionatura, pecorini portati fino a tre anni. Quell’unico formaggio declinato secondo le stagionature, che perde sale nel tempo, perché la conservazione del pastore è sempre stata la conservazione della sua terra e del suo prodotto, acquisisce potenza, si bagna, si grana, si spezza, rimanendo morbido, tira fuori bouquet aromatici definibili icasticamente “esplosione di sapori”. È l’espressione di un formaggio povero che non ha bisogno di spiegazione al di là del palato. Avanguardia e necessità insieme.

Roberto, gestendo il tempo del lavoro e quello dell’amicizia, non pensa che io sia lì per quella ricotta, che Simone De Feo (Cremeria Capolinea) ha pensato bene di trasformare in gelato, e così si mette all’opera. Prima la tuma poi la ricotta. Prima il latte e il caglio, poi il siero. Coagula la caseina con gli enzimi, poi albumina e globulina con la temperatura. Tempo, calore, nebbia e rigore.

Roberto parla poco e guarda lontano, qualche massima qua e là, molta saggezza sporca, quella che ti conquisti su una pelle lacera e indefessa, quella che mette entusiasmo quando le pecore rientrano in stalla e mentre guardi il siero raggiungere la temperatura desiderata. Sarde e Comisane sono produttive, la Cornigliese, la pecora dell’Appennino, non era così interessante per fare i formaggi, il tempo manca sempre il dover essere per rimanere ancorato al disincanto e al confine, in quella terra ospitale che è stata una conquista di fiducia e qualcosa da maledire tutti i giorni. I formaggi hanno ancora i profumi antichi di chi non ha confuso l’abomaso con il caglio, di chi non ha bisogno di un fermento per dare stabilità ad un proprio formaggio… con tutti i problemi di assestamento e di ambientamento ai sapori contemporanei, sempre alla ricerca dell’effetto. Quella parola naturale, a volte abusata, soprattutto in conversazioni senza scibile, qui attiene benissimo al racconto di un luogo e di una persona ispidi ma di una sincerità senza angoli. C’è un passato, ci sono delle ombre, ci sono delle domande da non fare, ma è tutto così semplice…

IL PASTORE DI FELINA

FARIOLO

FELINA (RE)

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