In assenza delle mani in pasta… Giuliano Pediconi

Forni. Luoghi indefiniti alla corte dei più disparati parvenu e dei migliori panificatori. Con una scelta che si è sviluppata in anni di panettieri della domenica e di rozzi asserviti al lievito di birra. Le Marche, sua terra d’origine, l’hanno tenuto sveglio la notte oltre vent’anni. Ora gli concedono un mulino (Mariani per la precisione…), sito nel comune di Barbara, provincia di Ancona, dove mette a punto le farine, tiene corsi di panificazione e sviluppa un recupero di alcune antiche varietà di frumento. Il resto del tempo lo passa tra il Magistero alla cattedra della Comunità di San Patrignano e il mondo. Dal Canada ad Hong Kong, fino alla Brianza.
Panificio monzese di Davide Longoni (in perdurante crescita qualitativa e alla continua ricerca di una sovrastruttura che lo faccia dubitare del prossimo… artigiano da definizione…). Tre di mattina. Caos primordiale di neuroni. Ma ci provo comunque…
Giuliano appare come essere umano dotato di pacatezza e di metodo. Una persona precisa ma senza il dogma del viso contratto. Poche parole, emblematici cambiamenti di tonalità e assenza di contesto. Qui si gioca l’interesse dell’altro verso il suo mestiere. Rimane sempre su un codice fruibile, ad eccezione di alcuni passaggi sull’idrolisi degli amidi (e conseguentemente sulla creazione degli zuccheri…), dove espone la propria debolezza sotto forma di passione. È un uomo ancora dotato della capacità di estraneazione. Quando il discorso cade sul gossip o sulla critica garibaldina, si ritira nelle sue mani e nella sua testa, convinto comunque che qualcuno lo stia osservando.
Una delle cose fatte in Esmach, insieme ad Ezio Marinato, è stata la messa a punto di un generatore di lievito liquido che ha reso la vita più facile a molti panificatori, “fin troppo semplice… molti di loro hanno disimparato a conservare il lievito in altre maniere…”. La sua capacità di gestire fermenti e impasti è sorprendente.

Tira fuori del grano spezzato, lo miscela con una farina Sobrino, lavorando sull’acqua e sulla crosta. Appena uscito, ha quel vagabondare distolto che solo la leggerezza mi lascia. Rimango freddo nell’ignoranza. Crosta dura, a sigillare un progetto. Passano quattro giorni, me lo dimentico. Lo ravvivo, lo assaggio e stupefacenti improperi fuori escono dalla mia bocca. “Cazzo che pane!”. Etereo e sfumato. Occhiature profonde e regolari, crosta sottile e croccante. Profumi discreti e un po’ svagati. Complimenti da dividere. Ma l’epigono ha imparato fin troppo bene. Ricreato, mi ha abbandonato ad un sorriso…

Giuliano è convinto che, prima o poi, ritornerà a fare il pane quotidiano. La notte lo affascina come poche altre cose. Ma non può prescindere da una scelta. Che non è quella semplice e subitanea dei soldi e delle consulenze, è quella del sacrificio, che è più lunga e irriguardosa. Nel mentre, Giuliano studia approfonditamente il mondo della panificazione. La sua precisione è unica, non ci sono grandi nomi, non ci sono personaggi televisivi, non ci sono improvvisati immaginifici, imbellettati di mulini markettari e nemmeno eremiti…

Ad un certo punto, dal cappello dei trucchi, tira fuori una stirata romana a lievitazione naturale. “Non la fa più nessuno con la sola pasta acida”. Troppo complessa, sia nella lavorazione che nel gusto. Si rischia la cicca e il fuori controllo. Con la birra è più morigerata, forse banale, sicuramente più stabile. Ma Davide è quell’allievo per togliersi qualche sfizio. E così sia. Difficile da spianare, difficile da infornare, figurarsi da intuire o comprendere. Bolle accentuate, estetica da salivazione compulsiva, bontà irrisoria. Acidità bassa, friabilità e croccantezza perfette. Da accompagnare al crudo, da fare al pomodoro o ricoperta d’aglio e olio… è una puttana dal fascino primordiale…

Giuliano non mi è parso trascinante, ma confortante. Certo, serve l’umiltà per capire che l’aceto (detto altrimenti pane con pasta madre) che si è sempre mangiato, può essere migliorato o può essere polverizzato. Dipende dalla coerenza, dalla capacità di seguirlo e dalla voglia di non rimanere fraintesi. Mi assicurano dalla regia che il sangue marchigiano sia sempre lì lì per ribollire… c’è chi l’ha visto… ma per il resto è come se le parole, non appena espresse, iniziassero ad insegnare…
Ecco il segno dei tempi! L‘age d’or della panificazione! Il lievito madre assomiglia vieppiù ad un derivato asiatico sulla borsa di Milano d’inizio anni ’90… un guadagno aggressivo e assicurato… è diventato un testimonial… c’è chi gli mette tanto trucco e molta slealtà… e c’è chi gli preferisce la naturalità di una ruga… Giuliano si pone a metà strada tra la povertà e l’acidità delle case contadine del Sud Italia post atomico e le fantasie lievitanti di Antonio Banderas… testa e mani… da solo il lievito o diventa rancido o confezionato… ecco l’umanesimo di un lievitista contemporaneo…

MOLINO PAOLO MARIANI
CONTRADA COSTE 24/A
BARBARA (AN)

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