Inventore, artigiano, produttore, virtuoso… Marco Bernini

muffe

Pozzol Groppo. Spartiacque tra la Val Curone e la Valle Staffora, confine tra la provincia di Alessandria e quella di Pavia. Da un lato la strada si getta nelle località termali, guarda le colline dell’Oltrepò, alterna mele e viti a maiali, dall’altra spiana verso Volpedo e verso i suoi pescheti. Le curve si susseguono, mangiano borghi, aumentano il territorio, diminuendo a dismisura la densità. Quattrocento abitanti scarsi su quattordici kilometri quadrati di superficie, Pozzol Groppo è un paese fantasma, senza centro, con molte frazioni, qualche cascina, un fascino caricaturale dato da un orizzonte senza volgarità e un verde, che diventa grigio per ritornare verde, al limite della voglia di trasferirsi. Le città sono vicine ma non si sentono. Non ci sono casali e nemmeno benefici. Questa è terra di contadini, di anime e di nicchie. L’ordine temporale mette Marco Bernini come ultimo della lista, ma l’intenzione lo metterebbe tranquillamente al primo posto. Un romanzo d’avventura, un racconto senza orologio, uno di quei giorni dove tutto il resto sembra così normale. A metà strada tra lo zio Eduard di Morte a Credito e Nikola Tesla. Quello che resta è un realismo magico. Ecco Monsieur Bernini, un uomo che ha fatto tutto quello che nemmeno pensavi esistesse.

È nato a Milano, o almeno credo, è cresciuto in zona Porta Venezia (quindi i retaggi periferici non sono un indizio…), ha iniziato a guidare Renault 5 a quindici anni, ha incontrato le forze dell’ordine diverse volte, ha vissuto la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 come il più classico dei giovani che hanno vissuto la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, ha fatto il fotografo, ha costruito fotografie, ha immortalato starlet, ha creato campagne pubblicitarie, è stato in Africa come fotografo alla Parigi-Dakar, costruendosi una macchina-mimesi con cui seguire la corsa per immortalare quelle immagini mai pensate, ha costruito auto per viaggiare in Africa, è stato meccanico, ha fatto il fotografo di viaggio, è stato due settimane sul ramo di un albero, alimentandosi con capsule per permettere ai propri odori e ai propri umori di conformarsi a quelli della foresta così da poter interagire con gli animali senza lasciare tracce, ha cacciato con l’arco nelle foreste del Kazakistan per conto di un’agenzia di Piacenza che, per i ricchi imprenditori lombardi in viaggio a Cuba con l’amante ma ufficialmente in mezzo alle foreste per la caccia grossa, portava a casa Primati da poter esporre alle pareti e alle mogli, ha costruito una lavatrice a quattro metri d’altezza, ha trasformato un loft a Milano in un’esposizione di opere in ferro, ha fatto il falsario di eliche per aerei da guerra, ha costruito moto da rapina per gare sulle tangenziali francesi, è stato in carcere qualche giorno in qualche confine ex-sovietico, è stato uno dei più grandi esperti di colle, ha partecipato a qualunque fiera possibile sul territorio statunitense, ha prodotto birra con kit casalinghi, vendendola a zingari e a centri sociali, ha rubato muffe con tamponi in giro per caseifici e grotte, ha studiato i lieviti, produce pani di birra e formaggi poetici. QUATTRO ORE non sono bastate nemmeno per la copertina. Marco Bernini, in mezzo tra leggenda, realtà e fantasticheria, è la pietra filosofale del biografo.

Un viaggio del genere può trovare sosta solo in un paese come Pozzol Groppo, scovato per caso, durante una ricerca da cambiamento lavorativo, svolta tra la pianura padana e il primo appennino. Marco ha una manualità fuori dalla norma. Una volta trasferitosi, ha continuato a produrre birra casalinga per zingari e meccanici, ma mettersi in regola sarebbe costato toppo, così ha optato per un gregge di capre della razza sbagliata: nera di Verzasca. Poco latte, molta aggressività e la fregatura della rogna. Così le elimina tutte e fa macellare le sane da un norcino ligure che gli rimanda indietro violini, salami e prosciuttini sostanzialmente da buttare. Decide di cominciare a comprare il latte e produrre il formaggio in maniera casalinga. Vacca, capra e pecora da allevatori delle valli confinanti. Qualità altalenante. Acquisto di una bruna alpina (a breve dovrebbe affiancargliene altre quattro) e un proposito per il futuro prossimo: caseificio in proprio e produzione di una settantina di formaggi, uno più uno meno. Lui è un creatore e non un allevatore. E me ne persuado lentamente. Dalle orecchie allo stupore fino al palato.

Dissolvenza in nero. Digressione. La sua ricerca su muffe e lieviti l’ha portato oltre i confini europei, sfruttando la professionalità di un’amica hostess sulla tratta per New York, e l’ha portato a studiare, applicando sapori e fragranze alla creazione del pane. E così lievita. Con l’acqua luppolata, le farine coltivate da lui insieme a Fausto Andi e utilizzando i saccaromiceti di alta e bassa fermentazione, crea i suoi pani lager, stout, triple, pale ale o kolsch, con una pasta madre attivata principalmente da malti e ricreata ogni volta. Forno a legna e poca alveolatura. Pane di birra: rivalutazione di un lievito che non è più un mezzo ma diventa un fine.

Il resto è il suo lavoro anaerobico sui formaggi e l’amore per la crescenza, la base di gran parte delle sue creazioni. Lui riproduce formaggi esistenti e stravolge i concetti di erborinatura e fermentazioni. Prende un penicillium glaucum, quello usato per il Gorgonzola, lo inocula in un formaggio, isola la parte bianca attorno all’erborinatura, ricrea una nuova coltura e re-inocula la muffa in una nuova struttura erborinata verticalmente ma con striature di bianco su bianco. Addentare una caciotta e trovare il Roquefort non ha prezzo. La crescenza (carsenza/focaccia), tra i formaggi, il più simile al pane, è re-iventata da Marco nel panè, che ha struttura e retrogusto della mollica, con quei ritorni un filo alcolici al naso. Da qui parte tutto. Ph, ossigeno e fermenti. Celle frigorifero, polistirolo e chiusure ermetiche. Erborinature verticali, orizzontali e ad arcobaleno, per il suo straordinario 29 settembre (sua data di nascita). Affumicatura attraverso spezie rosse indiane (le stesse usate per il Tandoori), che regala una pasta bianco candore, una crosta rosso scarlatto e un gusto altalenante che non lascia il latte se non nella profonda lavatura. Ma, seguito il metodo giusto, la spezia diventa un contesto per una nuova esperienza. L’Incredibile è una struttura passata in vinaccia , sigillato con un malto d’orzo tostato, ma soprattutto una doppia cagliata a distanza di un mese l’una dall’altra. Grazie al buio e all’assenza di ossigeno, regala al formaggio l’essenza della meditazione. Whisky, torbatura e pochi morsi per un sapore così lontano. Poi c’è la struttura del Castelmagno che ha la conformazione del Salva, con erborinature indotte, unghia in proteolisi giallo-ocra e crosta edibile. Straordinario al palato, con mille sfumature differenti. I formaggi non possono finire, sono dei verosimili d’autore che hanno delle basi, la mozzarella, la caciotta toscana, il caprino lattico, la crescenza e hanno infinite sperimentazioni. Che non sono degli affinamenti e delle attese, ma proprio delle interazioni con la materia viva, con i fermenti e le muffe. La difficoltà è solo la conservazione casalinga che tende a degradare i sapori in breve tempo.

Marco fa tutto ciò quasi solo. Ha una moglie che lavora a Milano, due bambini estremamente svegli e una cascina enorme da dover gestire. Non so se tra due-tre anni farà ancora formaggio o magari si sarà messo a costruire caschi per astronauti o calze a rete per prostitute, so solo che un artigiano del genere ancora mi doveva capitare tra le righe e sono sicuro che il solo pensiero sarà già la voglia di una storia da ri-raccontare. E il verbo si è diffuso due minuti dopo il commiato. “Pronto… Ciao… Devi andare a Pozzol Groppo… un genio… sì… un genio!”.

 

FATTORIA LA CAVARCHELLA DI MARCO BERNINI

VIA D’ANDRINO 6

POZZOL GROPPO (AL)

Paolo Nicolini

Oggi sono andato a trovare Marco Bernini. Qualche mese che non andavo e me ne pento. Continua a ideare e produrre magnifiche creazioni casearie!
Complimenti Nicolò, per la bella e veritiera recensione su questo raro creatore del gusto. Mi unisco alla diffusione del verbo perché Marco va conosciuto.
un saluto Paolo

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