Castelvetro Piacentino è un’estremità dell’Emilia Romagna confinante con Cremona. Dall’altra parte del Po tutto diventa meno estremo, più morbido e meno produttivo. I capannoni del torrone si trasformano in appezzamenti di dieci ettari l’uno, sparsi in mezzo ad una pianura fertile, solcata da strade statali senza molto senso e senza un accenno di principio. Perché la geografia, fregandosene dei confini, si è portata via l’ossessione. Qui in mezzo puoi trovare straordinari norcini e agricoltori paradossali, anime difese e anime interattive con un territorio depredato. In cerca dell’asparago Piacentino finisco la mia giornata in uno di quegli anfratti che non hanno nemmeno più bisogno di un racconto, perché non l’hanno mai voluto e perché fuoriesce così spontaneo da non lasciare nulla al caso. Fabio (di cui tacerò il cognome per teorie cospiratorie), che il rafforzativo Fabione identifica nella sua essenza di anima candida defraudata dal Secolo, mi ha permesso un viaggio all’interno di un’agricoltura fatta di forza di volontà, follia, sciatteria, disinteresse, compravendite di anime, eccessi, serre, straordinarie bontà, trattori truccati e tenue abbandono.
Enorme capannone di congerie, zucche mordicchiate, pere marcite, verdura accatastata, asparagi piacentini e stagni coibentanti. Fabione ha una macchina rimessa a vecchio, che mi riporta ai tempi delle marmitte Leovinci e dei rettifili della bassa padana in motorino in due alle due di notte, un pezzo di soffitto che si stacca e quattro ospiti da portare in giro. Ingrana la marcia e accelera in mezzo alla vegetazione che si fa sempre più alta, raggiunge le nostre teste e nasconde l’impossibilità del lamento. Si arriva in mezzo ai filari delle sue piante, una miscellanea di malerbe, sottobosco e frutteto da poco potato. Perché, ci fa vedere, lui ha messo a punto un potatore artigianale da attaccare al trattore, che gli permette di fare un campo in 35 minuti. Volete vedere? La dissuasione è una figlia che aspetta il padre. E meno male. L’altrimenti è il giro per il paese, tra mele Golden, Annurca, Stark, tra pere, ciliegie e pesche, che dell’incredibile non ricalca nemmeno i contorni. Un agriturismo gettato nell’agone, svariati pezzi di trattore dispersi per il paese, ettari a non finire, aneddotica compulsiva, sguardo sempre rivolto all’indietro e la capacità di gestire 50 ettari di frutteto in solitudine, senza pause, tutto l’anno, probabilmente senza nemmeno dormire, in quel manifesto futurista, dove Stachanov sembra un mariachi messicano. Il suo essere prima della logica e prima dell’etica, lo porta molto al di là del macchiettistico, lo porta verso il caos primordiale, il disordine, il solipsismo come forma di apertura al mondo, la madre ultraottantenne molto più vivace del figlio, i mercati che diventano pezzi di terreno sulla statale dove trasformarsi in trasformista e la sua voglia di gettare frutta piuttosto che subire i prezzi imposti da un mercato che non guarda più in faccia la fatica e lo spreco. Le fragole raccolte in mezzo a serre improvvisate sono semplicemente straordinarie. Profumate e gustose, ma soprattutto piene. Si mordono ancora, si sente il tempo di attesa… e così per i suoi asparagi. Unici. Molto al di là di quelli celebrati di Caorso e dintorni. Verdi, sottili, da mangiare fino alla terra. Senza tagli. Una punta di dolce e un’altra di salmastro… perché, al di là di tutto, Fabio è la follia della normalità nascosta che esplode nelle sue discrasie e cacofonie, mostrando quel lascito di desiderio che solo uno che sa cosa sta cercando e che conosce bene il suo posto nel mondo, può portare alle bocche altrui. Disordine al comando!!!