Slow Bread Lab: panificazione pronta ad accadere… Michele Dogati

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Milano. Tra Porta Venezia e Città Studi. All’interno di un portone imprecisato in quella cerchia di vie che non tormentano più nemmeno il cittadino. Le case sono delle facciate e sono dei cortili, i portoni non hanno ancora l’altezza uomo e il legno continua a subire i colpi del tempo. Gli interni sono quella Milano nascosta che abbiamo smesso di fantasticare perché troppo avvezzi. Ombra, spiazzo e balconi tutt’intorno, in quell’intimità di confine che non si sente più vicino del vicino. Nel profondo di uno di questi palazzi, su uno di questi cortili, affacciano delle vetrate intarsiate dove il tempo sembra essersi fermato. A metà strada tra l’industriale urbano e il vintage recuperato, Michele Dogati ha trasformato l’uso di locali che della bottega si portan dietro l’estetica e dell’opificio la necessità. Ha preso un ferma capelli e l’ha trasformato in un pezzo di pane. Al di là del clandestino e al di là del casalingo.

Panificatore domestico evoluto. Ecco la storia di un produttore a cui manca la garanzia.

Michele ha iniziato a fare l’artigiano a fine anni ’70, nell’azienda di famiglia. Bigiotteria di qualità per maison di moda e alla moda. Passano gli anni, il lavoro cala, incontra la sua compagna, anche lei legata strutturalmente al mondo della moda vintage e sposta il suo interesse verso il lievito madre perché vede i suoi figli svegliarsi di notte dopo aver mangiato la pizza del supermercato. Ma senza dogmatismi, senza quella necessità combattente a cui i paraocchi han tolto tutto il desiderio di buono. Così comincia a sperimentare con farine biologiche, passa alla segale, ai grani antichi, rimette in piedi il laboratorio nel vecchio magazzino di famiglia e inizia la sua opera: estetica e appetibile.

Mulino Marino a cui approvvigionarsi, forno elettrico con pietra dove appoggiare i pani, una piccola impastatrice a spirale e un frigorifero. All’interno di un luogo anacronistico, perché non ancora pensato, Michele è partito con piccole quantità da produrre per gli amici ed è arrivato ai sessanta kili settimanali di oggi. Gente che arriva, gente che va, viaggi fuori dalla scuola e fattorini improvvisati, il tutto all’interno di un desiderio estetico assoluto, di un pane bello, pieno, con una crosta croccante, uno sviluppo equilibrato e un’alveolatura contenuta ma non casalinga. I pani sono buoni, il multi-cereali ottimo, hanno un filo di acetico al naso, un’ottima masticazione e un’acidità contenuta. Merito delle farine (tra cui quelle di Molini del Ponte) e merito del lavoro fatto sui pani, sui tempi, sulla madre di segale e su quei bilanciamenti compiuti con grazia (sui biscotti il lavoro è più lungo e la strada particolarmente ardua). Tra mentori, architetti e futuri da commerciare, la panificazione domestica di Michele ha superato il trivio per arrivare ad un bivio, dove la scelta di diventare “professionista”coinciderà con il successo dell’attività. Perché a Milano c’è poca qualità e perché i commensali biodegradabili sono in aumento vertiginoso e la leggenda del lievito madre è un buon argomento da sviscerare a tavola. E siccome bisogna fare cassetta, si deve guardare anche all’economia di una città sepolta sempre più sotto gli effetti delle mode e delle ribellioni. Ma qui c’è qualcosa di più, c’è un panificatore lento e gentile, assolutamente distonico con il caos primordiale dei palati e in linea con il silenzio di quei cereali che hanno bisogno di avventori e comunicazione ma non devono mai dimenticare l’origine e il tempo. E così i campi lunghi di questa clandestinità spariranno ma senza necessità. La vendita arriverà ma sarà un mezzo e non un fine. Ne sono convinto. Il pane di Michele sarà sempre meno rispetto alla richiesta… citofonare Carboneria e cominciare a mettersi in fila… state connessi…

 

MICHELE DOGATI

MILANO

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