Casto. Frazione Famea. Un luogo remoto all’interno di una valle remota. Bosco e qualche allevamento. Le case, al di là del paese, mettono addosso la voglia d’inverno. Ci sono pochi alberghi, qualche agriturismo che sta provando a capire come bloccare l’orda di gruppi organizzati per cene a prezzo fisso, poche curve, molte strade senza uscita e quelle frazioni che non lasciano null’altro che la meta. È tutto vista eccezion fatta per quei sabato sera passati a truccare motorini o fare indianate in mezzo agli abeti. Se il tempo lascia passare l’adolescenza senza troppi calli nel cervello, allora quegli stessi posti possono rimettere in circolo una nuova opportunità di bellezza. Tornare indietro e fare l’artigiano, rilevare un paio di panifici e alla fine capire che la soluzione è poco più sopra, in un laboratorio senza più bottega, centralizzando in mezzo alla roccia ed esportando il proprio prodotto dove il passaggio può diventare turismo o rimanere solo passaggio. Ecco, Pietro Freddi è nato a Casto e a Casto continua a vivere, portando in giro la propria arte imparata nel tempo e nei tempi giusti, senza fretta ma soprattutto senza bisogno di lodi imbrodate da quadretto radioso sopra il banco di vendita. Arrivare dove è arrivato, passando per i famigerati corsi di formazione del sindacato dei panificatori, è una lode senza nemmeno necessità di assaggio…
Così ha preso in mano l’attività da un suo zio, l’ha traghettata per i mirabili anni ’80, ha incontrato le bighe e le autolisi, ha prodotto pane e poi ha cominciato a studiarlo. È arrivato al lievito madre grazie alla voglia di panettone. Ha in(s)contrato Iginio Massari, ne ha portato a casa la lezione, ha cominciato a produrre e a buttar via. Da lì si è dedicato al pane e si è trovato compromesso col classico mulino della bassa padovana (ma passerà…). Adesso c’è una tecnica perfettamente al servizio di un’idea di imprenditoria artigiana assolutamente folle per un territorio senza riconoscenza e senza riconoscimento.
Panettone, pane e pizza sono i tre poli attorno a cui ruota l’intera giornata di Pietro, con quel tempo di raccordo passato in macchina a cercare di non addormentarsi alla guida.
Laboratorio a Famea, sotto casa. Locale dedicato al pane e nuove stanze dedicate ai dolci e ai grandi lievitati. Vista riflessiva su quella valle che impone bellezza e lavoro tra forni, sfogliatrici e impastatrici. Enoteca a Vestone, che poteva tranquillamente essere la finalizzazione del suo progetto di lievitista, perché molto diversa dalle copie, con una parte dedicata al pane da vendere, un piccolo forno per le pizze, scaffalature per vini e distillati e su tutti la bellezza ferrea del vintage industrial che prende i banconi rendendoli assolutamente visionari per quei luoghi sulla strada. Pizzeria inaugurata da pochi mesi a Gardone Riviera dove mettere a punto i suoi impasti, le sue bighe e la sua ricerca sulle farine e sulle farciture.
Ecco tutto! e giusto perché le sue fantasie sono state bloccate dalla pigrizia zootecnica valsabbina che non gli ha ancora permesso di mettere in piedi il suo allevamento di polli, conigli, bovini e suini a kilometro zero, dove cullare le carni per le sue somministrazioni.
Pietro è veramente un sognatore, uno di quelli intransigenti e refrattari alle logiche dell’inchino, della marchetta e del presenzialismo. E, prima o poi, anche gli uccellini dello spiedo valsabbino voleranno via dai marchi delle sue farine. Perché le fragranze non devono più confondere la costruzione con la ricostruzione.
Il panettone è perfettamente bilanciato, sfiocca bene, è un filo asciutto, manca un filo di naso ed è straordinariamente gonfiato, caratteristica peculiare di quel mulino che tutto fagocita. Il pane ha una bella crosta, bella miscela tra integrale e burattata e sapidità controllatissima. La pizza (strepitosa), appoggiata su questi piatti di ardesia che mantengono il calore, nella semplicità del pomodoro Petrilli e della mozzarella locale (!?!), lunga maturazione, madre e birra insieme, una lunga biga e un’attività enzimatica perfettamente espletata in quelle ore a temperatura controllata che ne determinano la digeribilità, è quasi perfetta: masticabile, croccante, friabile, piena al palato, economica, assolutamente contestuale al topping che della semplicità si fregia e che la semplicità potrà tenere come base territoriale per esperimenti gastronomici che necessiteranno un po’ di comunicazione e un po’ di patina.
Pietro deve continuare a dedicarsi, superare l’indifferenza e la gastrite economica e continuare a parlare di luoghi e di valli che la trascuratezza apatica non ha ancora trasformato in degrado. Merito degli artigiani, dei mastri panificatori, degli allevatori e dei casari, di tutti quegli artigiani che continuano a costruire diversità in luoghi che non hanno altro che paese, quotidianità, corriere, lavori da dimenticare, sabati ai centri commerciali e domeniche a messa…
FORNO PIETRO FREDDI
VIA FAMEA 5
CASTO (BS)
ENOTECA BOCCONDIVINO
PIAZZA PERLASCA
VESTONE (BS)