L’alpeggio del Bagoss dai molti punti di vista

20160903_133436

Bagolino è un paese incredibile, uno dei più interessanti dell’arco alpino lombardo, uno di quei luoghi dalle mille sfumature che non sono lì per caso. Dallo zucchero amaro al carnevale, in questi vicoli è possibile ancora trovare la cura, la voglia di non lasciarsi sopraffare dall’operosità lombarda, di non deludere le aspettative di una storia che è sempre stata generosa. Bagolino è il paese delle fontane, spuntano dietro le strade tortuose e dietro le case in pietra, è circondato da montagne comode e propizie ma senza pietà. E così, riscuotere bello dal bello diventa sempre più difficile. Bisogna scoprire e cercare il retaggio polveroso da attualizzare, quella voglia sopita che, dopo i funghi e i formaggi, è riuscita a sopravvivere ad una quotidianità invernale lontana dagli sguardi più facoltosi. La famiglia Buccio ha tirato fuori dal proprio mestiere la capacità di non accontentarsi e così ha voluto credere ad un futuro dai volti rugosi e ad un passato sbiadito in bianco e nero. La Malga del Re è la rappresentazione di un formaggio molto oltre il palato e molto oltre la fatica, è un luogo condiviso, dove la vendita non deve essere preposta all’armonia. Il formaggio e la sua stagionatura devono mantenere la serietà anche nel loro essere mediatici. E così appena entri, una grotta con i Bagoss stagionati fino a cinque anni accoglie il visitatore scellerato, quello che vuole degustare e bersi un bianchino, che non ha più spazio tra le maglie del proprio ego per qualcosa che vada al di là dell’utile. Per quello basta salire al piano di sopra, caffetteria e Bagoss giallo ocra che rapisce la vista, tenendola lì. Il resto è assaggio e impressioni in pietra e legno che da contesto sono assurti a quel luogo che Bagolino merita come affetto prima che come rispetto.

Dolò. Nè Crocedomini né Maniva. Sopra i 1500 metri al di là della vista. Prima malga, casa dell’800 recuperata, lunga trenta metri e divisa tra una stalla in disuso e una stagionatura dei Bagoss d’alpe straordinaria. Lì inizia la poesia dell’olio di lino e del tempo d’attesa. Qualche curva verso l’alto e la Malga Dolò. Ci attende Mario Buccio, il papà di Gianluca. Sicurezza terrena e capacità comunicativa. Due strutture estremamente raffinate di pietra e legno che tengono separate il lavoro dalla normalità di riposi e cene al calar del sole. Un camino, una caldera in rame che riporta la legna nei sapori del Bagoss estivo, delle vasche di scrematura per il burro, una piccola zangola, qualche fungo porcino recuperato tra l’erba e un burro giallo molto al di là di qualunque fraintendimento. Affioramento, acidificazione, nessun fermento e nessuna pastorizzazione. Acquoso il giusto, erbaceo in bocca senza nessun fieno, da accompagnare ad una pasta fresca, è la resa più verosimile di un alpeggio che è ancora patrimonio ed è ancora la storia di una disparità e di una necessità. L’eccedenza è vista, racconto, convivialità e sublimazione del formaggio. Mario e Gianluca sono allevatori rari in una terra di allevatori rari, hanno dalla loro il passato e il futuro, non ci sono mezzi termini e non ci sono romanticismi melliflui. In alpeggio si fanno tre forme ogni due giorni, si fa fatica ma non fine a se stessa. L’appagamento della comodità è il desiderio di chi vuole traguardare l’alpe contemporanea per portarla in un futuro di malgari consapevoli della cultura di un progetto e di un percorso. Gianluca e Mario sono all’origine di quel che resta…

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *