Morterone, una conca che ricordava un mortaio. 14 km di distanza dal primo centro abitato (Ballabio), 34 abitanti, per anni il comune meno popoloso d’Italia, adesso superato da Moncenisio, più frazioni e località di quanti sono i residenti. Per arrivare c’è una salita che toglie il fiato, quando ghiaccia e cala la notte, non c’è più nemmeno una dimensione, arrivare su attiene alla creatività e al tepore, passare tutte le diramazioni, tra ruderi, foglie deposte e un’estate che se ne è andata, rimane una forma privativa di desiderio. Gli avventori si bloccano alla scalata del Resegone, sotto quelle guglie che sono letteratura e paesaggio, arrivano in paese, magari tornando si mangiano anche la pizza nell’unico locale pubblico presente, sempre se è il giorno in cui arrivano le farine, e guardano gli orridi della Val Taleggio e le coste delle Valle Imagna. Chi resta a luce fioca, non può che ritrovarsi, in quelle poche famiglie che sono gestione, amministrazione, presidio e produzione. Qui, due giovani laureati in Agraria, hanno deciso di avviare la propria startahahaahahap…
Matteo Bonaiti Pedroni e Giovanni Pizzamiglio si sono conosciuti in università a Milano, lecchese il primo milanese il secondo, hanno trovato una convergenza al proprio cammino in un bando proposto dal comune di Morterone. Una stalla sociale, insieme al suo caseificio, anch’esso sociale, erano nuovamente alla ricerca di un padrone. Il socialismo rurale non aveva funzionato. Tre allevatori del paese hanno provato a rimetterla in vita, ma l’interesse privatistico, castigo e ossessione delle municipalità impercettibili, ha condotto al trivio. E così la scelta è caduta su due ragazzi di città con l’attitudine giusta per scomparire, lavorare a fondo, imparare più professioni, creare legami con l’autoctono indocile, con il disabitato invernale, con un animale, la vacca, che chiede tempo non restituendolo, con un formaggio che in queste valli è oltre la leggenda, oltre la religione, oltre la conoscenza. È sapere, sale e sapore.
Grigio alpine recuperate in Alto Adige, tra le razze più rustiche, perfette per queste rocce, per questi prati e per un alpeggio 400 metri sopra il paese. Eh sì, perché il “patto” prevedeva anche una malga, alcune stanze e pochi ettari di pascolo, meta perfetta per una transumanza umana tra mungitura e caseificazione estiva.
Pochi formaggi, tanto lavoro da fare e un mestiere da imparare. La rivoluzione contemporanea non può che partire dalla libertà e dall’assenza. Pascoli, latte crudo, meno fermenti possibili e delle lavorazioni che possano esaltare queste valli e queste tradizioni. Sugli stracchini all’antica sono da rimettere a posto un po’ di acetiche e un po’ le croste, la stagionatura è forzatamente comune, il fiorone, una cagliata lattica di vacca acidificata una ventina di ore, nei primi 7 giorni è stupenda, quando inizia a proteolizzare e a mantecarsi è estetica ma deve essere monitorato il siero e il suo spurgo. Il latteria a pasta cotta ha una bella struttura ma abbisogna di tempo, un processo produttivo di questo tipo necessita di altre stagionature. Che arriveranno, magari quando Giovanni e Matteo riusciranno a mettere mano alle grotte sotto l’azienda, in un continuo di luoghi remoti ed inverni cristallizzati.
Produrre in luoghi del genere è una forma espansa di eroismo, quasi di brigatismo sociale, qui si sfidano le regole del sistema, fuoriuscendone, in un’assenza di autorità che è errore e meraviglia. Persone e paesi, forme riflesse di qualcosa che nessuno ci toglierà mai: l’Italia è un principio di frazioni e borgate, ognuna con le proprie differenze ciascuna con i propri bisogni…
AZIENDA AGRICOLA LE FORBESETTE
FRAZIONE CARIGONE
MORTERONE (LC)