Lione, una capitale gastronomica a più facce… e la sua digressione: Pierre Dorées

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Quindici anni sono passati e quindici anni sono tornati buoni per rendersi conto che Lione è cambiata profondamente. Una cosa è rimasta come un tempo, la presenza impellente di un vento che tutto spazza e tutto cancella. I musei chiusi, le tute stilisticamente simili degli immigrati del Maghreb, le periferie riottose e quelle più calme, i fast food come unica speranza di una giornata chiusa, Born in the USA passata in loop dalle radio francesi come forma di protesta, si sono asimmetricamente trasformati in una rifioritura gastronomica che con Paul Bocuse nasce e che con Paul Bocuse probabilmente morirà. La sua presenza è orwelliana, guarda dall’alto i bouchon, li rivoluziona, richiama alla notorietà i mercati coperti e declama le maestrie dei migliori chef emergenti del mondo. A Lione un tappo è diventato una trattoria e la carne è sempre stata interpretata nella sua povertà e nelle bottiglie di Beaujolais da 46 cl, molto prima della rivoluzione contemporanea del quinto quarto. Il Cafè des Federation e Arlette Hugon sono imperdibili retaggi storici. Grasso e trippe. Ecco la reale memoria gourmand di una Francia storica che ha preteso il paradosso nella stessa città della tradizione. La nouvelle cuisine, la sua ricerca della leggerezza e della sperimentazione, associata all’utensile innovativo e ai cinque sensi come sinestesia estetica del piatto, ha avuto in Bocuse il suo alfiere più rappresentativo. Grasso e mercato.

Questo è stato un centro nevralgico in cui gli artigiani hanno cominciato ad abitare un terreno fertile, trasformando una grande città in quel borgo dove sperimentare e rendere tutto più quotidiano.

Appena fuori, tra le mura d’ocra dei Pierre Dorées, straordinari borghi senza tempo di una bellezza dimenticata e riservata, i formaggi di capra, nella propria semplicità, esprimono tutta la potenza del latte, della sapienza, dell’occasione di un bianco candido base di uno sviluppo e di una struttura rari. Gaec des Deux Croix a Saint Paule e Ferme du bois Gonnay a Savigny (micidiale e iconico hippie) sopra tutte.

Panificazione, cioccolateria e pasticceria sono diventate grandi, hanno espresso i propri limiti per superarli, sono diventate tecniche senza dimenticare la sapienza di quelle cucine che continuavano le loro lunghe cotture. Trovarsi nel mezzo senza troppe distrazioni, ha permesso un interscambio e una crescita comune, ha concesso alle periferie di sentirsi meno sole e alla sperimentazione di rendersi più stringente.

Nell’arco di un centinaio di kilometri l’espressione del cioccolato ha messo la Francia sulla carta del mondo, i grandi trasformatori “from bean to bar” e gli scioglitori più raffinati hanno dato agio alla propria percezione. Richart, Bernachon, Seve, Valrhona, Pralus, Bonnat, Weiss sono ciò che di meglio si possa pretendere dalla morbidezza d’oltralpe, da quel modo di lavorare le masse di cacao sempre e comunque con aggiunta di vaniglia. La ricerca agronomica va di pari passo con la raffinatezza della presentazione, della vetrina e della creazione.

E c’è chi non si fa mancare neppure la pasticceria. Seve, dal lungofiume a Les Halles, manca un filo in personalità per recuperare tutto in prolificità, e così Bernachon e Richart. La Lione più rampante, quella che guarda alla novità. Poi c’è chi si volta indietro. Jean-Paul Pignol, principe dell’organizzazione, ha messo in piedi una rete di gastronomie-pasticcerie-ristoranti, impossibili di qua dal Frejus. Altissima qualità, rigore e sorpresa. La sua sfoglia con le albicocche e la sua religieuse al cioccolato sono straordinarie, le sue frangipane rigorose.

Anche nella panificazione, nonostante le ventate di aria fresca come Au Pain Naturel e La Miecyclette, Lione rimane tranquillamente un paese per vecchi e la cosa né disturba né affligge: i maestri dell’arte bianca mantengono la loro liceità su tecniche e materie prime, Francois Pozzoli continua a proporre pani perfetti, senza troppe elucubrazioni, per persone con domande ben riposte nel taschino e Paul Bocuse continua ad animare le pareti della città e a dare, o prendere, i nomi dei mercati coperti cittadini. Les Halles ha perso totalmente il suo fascino industriale, quello delle vetrate ricoperte e dei lineamenti ferrei, quello dei venditori e della confusione, acquistando nitore e patina. Contemporaneità in tutti i suoi dubbi…

Città godereccia, città dissipata e città ricostruita, Lione continua il suo cambiamento lento, come se non ci fosse un domani… e probabilmente non c’è…

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