Lo Storico Ribelle e una gioventù fulgida … Cristina Gusmeroli

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Dazio. Pochi kilometri sopra Morbegno, in quella Costiera dei Cech che è anima e vista, che si pone sempre nella situazione di essere guardata e di essere ammirata nei suoi terrazzamenti e nei misteri di quelle valli laterali che si nascondono mostrandosi. Una piana di poche cascine e ancor meno abitanti non può che essere rappresentante di se stessa. E così è, nel suo essere espansa e chiusa, nell’avere più terreno che possibilità e in quel campanile attorno a cui ruotano le sfortune del secolo. L’alpeggio è lontano, gli echi del Passo San Marco, l’Alpe Orta Vaga, i calecc’ estivi, il latte di capra Orobica in percentuali variabili, la mungitura a mano, le temperature che possono improvvisamente scendere e una vista che spazia fino alle pupille di Dio sono ricordi e intenzioni di una conversazione. Qui, in mezzo a due stalle e altrettante case, passa l’inverno la famiglia Gusmeroli.

Cristina non ha ancora compiuto ventitré anni, con i suoi fratelli e i suoi genitori ha passato tutte le estati della sua vita in alpeggio, prima a produrre Bitto, Bitto Dop, Bitto Storico, ora a produrre quello che è rimasto dopo le lacerazioni e la sconfitta, lo Storico Ribelle. La “pace di Gerola” è naufragata, gli accordi sono saltati, i nomi sono cambiati e i consorzi sono andati a farsi benedire. Così per il fondovalle è rimasto il nome Latteria e per quello d’alpe Storico Ribelle. Cristina ha dalla sua quella gioventù che non vuole rimanere irretita in prezzi e definizioni, il grasso d’alpe, come lo chiamavano e lo chiamano ancora gli anziani della Val Gerola e della Valle di Albaredo, è sempre rimasto il formaggio del rispetto e dei tempi che furono: munta calda, solo erba senza alcun mangime, latte solo di Bruna e nessun fermento aggiunto. A questo si sono aggiunte telenovelas commerciali e i pensatori pasionari che han dato una stagionatura ad una forma del latte quasi impossibile da trovare in altre latitudini in tutti e cinque i continenti.

Oreste Gusmeroli, papà di Cristina, si è sempre occupato di allevamento, il formaggio veniva fatto d’estate e d’inverno si conferiva il latte. Poi, nel tempo, è arrivato il caseificio aziendale e, poco prima dei sedici anni, Cristina ha deciso che la casara poteva essere una buona rappresentazione del suo ruolo nel mondo. Ha cominciato a seguire le bestie attraverso i calecc’ e a lavorare il latte prima delle proliferazioni batteriche. In stalla il tempo e l’inverno la chiamano a tessere delle trame caseiniche più strette, a produrre ricotte, a fare latteria grassi e semi grassi, qualche taleggio e qualche scimudin, a collaborare con la sua famiglia nel nutrimento dei maiali e nella stagionatura tra celle e cantine. Il latteria semi-grasso è particolarmente profumato e tira fuori alcuni difetti al naso che lo connotano mirabilmente, bella masticazione, otto mesi di stagionatura, pasta friabile, giallo ocra nonostante il fieno e un finale dolce. Il taleggio non stacchina ma cremifica, è ben tenuto e non ha amarezze. Ma l’inverno qui non è mai la stagione della forma ma sempre quella della sostanza. E così mentre si assaggia lo Storico Ribelle estivo bisogna tornare con l’immagine fuori dalle brume e da quella pioggerellina che compromette l’orizzonte. In quei tre anni c’è un mondo di tempo e di silenzi. La pasta, l’unghia e la crosta sono frammenti di assaggio che vanno sia armonizzati che isolati, che vanno lasciati esplodere in retrogusti lunghissimi e straordinari, con i cristalli di tirosina appena eccedenti, le proteine non ancora ossidate e una masticazione piena che cambia espressione ad ogni morso. Quello giovane ha bisogno di un filo di tempo e di masticazione, belle occhiature proprioniche, giallo intenso e percezioni che iniziano ad arrotondarsi in erbe e fiori.

I formaggi di Cristina non hanno una sapienza antica, non sono cristallizzazioni del tempo che fu, sono l’eredità di un giovane artigiano che si sta cercando. Una rappresentazione gentile del formaggio vaccino e per di più d’alpeggio, una forma scanzonata che ha bisogno anche del tempo libero e degli errori giovanili per poter essere fino in fondo una possibilità. Cristina, per esempio, non ama il formaggio di capra, e così limita i suoi sentori nel prodotto finale, dove difficilmente si va oltre un 10-12%, ridando indietro sapori meno pronunciati e grassezze più contemporanee… Continuare a scegliere un’abitudine è la rappresentazione migliore di futuro che il formaggio può fare di se stesso attraverso la gioventù… la speranza è essa stessa quella strada…

AZIENDA AGRICOLA GUSMEROLI

VIA VITTORIO VENETO 54

DAZIO (SO)

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