Lou Bià: agricoltura di montagna… Monica Colombero

Borgata Torello. 1400 metri. Le frazioni di Marmora sono poche meno rispetto ai residenti invernali, un Piemonte valligiano che è sempre fedele a se stesso, comuni sparsi ed espansi dove l’eco è l’unica forma di relazione. Le case abbandonate si sovrappongono ai campi di ombrellifere, i boschi diventano cupi nelle diramazioni, i cimiteri, nella loro irraggiungibilità, sono viaggi di settimane tra lo spirito e la neve. E quando arriva la grandine, è meglio trovare un riparo. Qui la natura non scherza, non prende le misure, non le interessa il piacevole e il ritorno, nelle borgate di Marmora l’affezione è una conquista, gli affreschi abbelliscono le case e l’invito a rimanere ogni tanto si trasforma in un obbligo. Quando le nuvole si addensano e il Monviso scompare in lontananza, il fuoco, anche ad agosto, diventa il desiderio prima della chiacchiera. Per caso, sfioro soltanto la sventura e mi trovo seduto a Lou Bià, agriturismo rurale gestito da Monica Colombero, una donna che ha reso l’isolamento più impercettibile.

La sua famiglia allevava le vacche e faceva i formaggi, poi il tempo si è convertito, Monica – nonostante gli aiuti del suo compagno e di sua sorella -, è rimasta più sola, ha lasciato l’allevamento, dedicandosi totalmente alla produzione di ortaggi. Nessuna compiacenza ma solo quelle radici, quei piccoli frutti e quelle verdure che lì possono vivere e produrre in biologico. E così arrivano le zucchine, i piselli, i cassis, i ribes rossi, i lamponi, le patate, le zucche, i fagiolini gialli, le bietole, i cavoli, il rabarbaro, le cipolle e diverse piante erbacee. Compatibilmente con l’altitudine. Questo dettame arriva prima di qualunque sovescio e di qualunque rotazione colturale.

A questo si sono aggiunti l’agriturismo e la fattoria didattica, dove impegnare i virtuosi giunti fin qui nell’intreccio del vimini, nella cucina con le erbe, nella creazione con il legno e nella costruzione di una macina in pietra per cereali. Lou Bià, in occitano, significa la segale e, non potendo abiurare all’origine, Monica fa macinare una piccola produzione personale dai Cavanna giù a Dronero, per mantenere intatta una cerealicoltura montana che è più una dispersione che un amalgama.

Questo luogo mira ad un completamento autarchico e a mantenere intatta la montagna, innanzitutto non prescindendo dalle sue radici povere, quelle che raccolgono i frutti in primis per conservarli, portarli oltre la neve, in confetture raramente così rispettose, per essere fatte a fuoco diretto, e in conserve dove le acidità non sono una necessità contemporanea di chiusura di qualunque piatto, ma un conforto austero quando l’orto non si vede nemmeno più.

Monica ha una grazia in questo e non tocca nemmeno l’intelletto provocatorio… quando si lavora in biologico, in mezzo a pietre e legno, per conservare un ambiente, il contraddittorio non ha potere e così, semplicemente, si fa così…

LOU BIA’

BORGATA TORELLO 5

MARMORA (CN)

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