L’ultimo taleggio d’alpeggio… Antonella Doniselli e Natalino Baruffaldi

Taleggio

Val Biandino dal Parcheggio delle acque Norda a Primaluna. Asfalto, sassi e buche. Il rifugio Tavecchia prevede le richieste del cliente e manda giù fuoristrada, togliendomi dall’impaccio di scontrarmi con gli anni diventati kili. Valle chiusa, la Valsassina non diventa nemmeno un puntino, sparisce in mezzo a tutti quei passi metropolitani di milanesi ciancianti avventure nel mondo, tripudi di abbronzatura, scalate inverosimili e cani laccati. Queste valli sono estremamente cittadine, molto bagnate e assolutamente piene di gente. Qui le tradizioni si sono scontrate con la voglia di costruire e con la voglia di trasformare la montagna in qualcosa di accessibile. La Valsassina, in quegli sguardi bronzei, consapevoli e vanagloriosi, diventa un pezzo di Dancalia, un racconto di una polenta mangiata su tavoli di legno per vivere il brivido del fine settimana. Eppure ci sono ancora persone e luoghi seri. Perché la natura si svuota di chiacchiere e si riempie di pietre, gli alberi finiscono e rimane una vallata straordinaria dove l’alpeggio è stato ingentilito, i fiumi dividono e i larici arrivano fino al Lago di Sasso dove la montagna diventa luna e stambecchi. La mano dell’uomo ha provato a portare tutto alle categorie di valle, riuscendoci a tratti. La famiglia Buzzoni gestisce un rifugio preso d’assalto senza molti compromessi, garantendo ancora ospitalità e soprattutto una scelta mirata di prodotti buoni.

Da lì, la vista è invasa da chiazze rosse e da chiazze nere. Una muraglia bovina al pascolo che segna la via.

L’alpeggio è una definizione in legno e pietra. Nessuna baracca, nessuna sovrappopolazione. Natalino è fuori con gli animali, sua moglie Antonella mi attende con delle storie dove precisione e leggenda lasciano molto più spazio ai volti. I genitori di lei, originari della Valsassina, transumanti da una vita e stabilitisi definitivamente sul Ticino, l’hanno vista tornare alle origini, conoscere un compaesano e convolare a nozze. Metà anni ’80. Natalino lavorava per dei produttori di Taleggio con l’arte ma senza parte. Così hanno deciso di creare insieme. La famiglia di lui aveva baite e produceva allevatori. Così hanno deciso di rimettere tutto a nuovo. Corso del tempo. Stalla e abitazione a Pasturo, alpeggio estivo in Val Biandino. 365 giorni all’anno, sveglia 3.45, due mungiture, due caseificazioni. Da 25 anni. Sempre. Due figli con un futuro rapsodico e la necessità di portare avanti una storia familiare fatta di visi, di età, di fotografie, di guance arrossate, di prozii, ma soprattutto delle due zie, sorelle e conviventi con Natalino e Antonella. Due mestieri per cui vale la pena smettere di pensare al cibo. Almeno per un paio di sguardi. Lavabo, sapone e panni stesi al sole, caseificazione e cucina. Un incarnato porpora di schiene ricurve su sedie mai utilizzate. Così vanno avanti e indietro tra il caseificio e la casa, facendo scale, versando latte appena munto e stendendo panni che sanno di larice. Rimangono lì con la necessità di non apparire. Quattro mesi d’alpeggio, ottanta e passa anni, nessun parrucchiere e la voglia di una femminilità che tiene ancora alla cortesia apparente. Con l’occhio mi perdo e con l’orecchio sto con Antonella.

Comunicazione sopra il sospetto. Difficile per le facce intagliate dei malgari abrasivi. Così anche per Natalino. Libri, latte, formaggio, sveglia presto e giornata cadenzata da mungitura e caseificazione. Il loro taleggio d’alpeggio a latte crudo è l’ultimo tra gli ultimi. Munta calda, caldera in rame, rottura della cagliata come una nocciola, pasta morbida, stuoie naturali dove avviene lo spurgo lento e non completo, stufatura, salatura e stagionatura a temperatura controllata per un massimo di due mesi. Spugnatura leggera di acqua e sale, geotrichum e penicillium tolgono spazio alle muffe sgradite, crosta sul rossastro e intagli blu. La pasta cremifica verso la crosta e rimane più asciutta all’interno. Una cremosità elastica, qualcosa di molto differente sia dalle occhiature degli stracchini a munta calda che dai Taleggi stagionati dalle aziende valsassinesi, che favoleggiano grotte naturali, messe in panchina da decenni in favore delle più prosaiche celle a temperatura controllata. Perché il tempo del Taleggio è un tempo cadenzato dalla morte batterica. Prodotti pastorizzati della Bassa padana mandati in Valle a stagionare e rivenduti da rivenditori con la coscienza commerciale. Rimane qualche caseificio che compra latte e qualche altro che compra formaggio. Gli artigiani sono rimasti in due. Il resto è il paradigma della sciocchezza sui formaggi da tavola e gli afrori indotti che cancellano tutto, provenienze e pascoli. Il formaggio di Antonella e Natalino ha un senso più salvifico che organolettico. È la capacità di ridare indietro dei sapori che puoi trovare ormai solo sotto falso nome… Friabile, fondente con ancora quel burro ormai assuefatto alla logica della puzza.

Pascoli, maggenghi, mungitori mobili, bestie adatte e non adattabili… qui c’è ancora il rispetto dell’alpe, quell’intima coscienza che della notte vuol fare la notte, senza trasformazioni, senza modernità eccessive. Si cambia solo ciò che serve, lavorando il più possibile in maniera sostenibile. Cercando di ridare indietro eccellenza da una quotidianità frugale, fatta di pochi privilegi e di un lavoro che dell’apprezzamento non si può più nemmeno fregiare. Così, nella prevenzione di una scomparsa, forse evitabile grazie ad un ragazzino, Mirko, che sta con loro da quando aveva dieci anni e che dorme con i poster delle vacche al pascolo in cameretta, loro stanno lì e si presidiano da sé… giù… a fondo valle… i numeri e le belle comunicazioni da grotta madida…

 

AZIENDA AGRICOLA DONISELLI ANTONELLA

VIA CASTAGNETI

PASTURO (LC)

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