L’umanità silenziosa della Fontina… Sandro Bonin

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Gressan è le sue frazioni e le sue stalle. Quando scende la notte, rimangono meleti e vigneti che siscambiano ruoli e apparenze. L’odore è quello tipico della Valle. I retaggi sono ben configurati all’interno di radici che hanno la vacca come inizio e fine di tutto. Le latterie turnarie non si sono trasformate in caseifici sociali. Si è cercata un’identità nella salvaguardia. Ciò che è cambiato è il rapporto clientelare: una volta di mezzadria, adesso di compravendita.

Poi ci sono il verde, le montagne, i princìpi di neve, le coltivazioni, il corporativismo e le ancestrali tradizioni degli allevatori che, in queste terre, dietro e davanti alle montagne, in mezzo alla valle, verso la Francia, al principio della Svizzera e in mezzo ai Parchi Nazionali, hanno sempre e solo prodotto la Fontina, il prodotto più tipico, più sputtanato, più copiato, più rappresentativo che una regione italiana possa mettere in forma. Qui c’è uno sguardo metonimico che prende la Val d’Aosta e la trasforma in una alveolatura e in una crosta lavata.

Sandro Bonin non ha ancora trent’anni, viene da una famiglia di allevatori, d’inverno lavora agli impianti di risalita di Pila, d’estate fa l’alpeggio da quando era un ragazzino, è innamorato della Fontina e delle tradizioni del suo territorio e così ha deciso di prendere il formaggio, conferito fino all’età della ragione totalmente alla Cooperativa di Valpelline, e trasformarlo in una delle più debordanti forme di comunicazione che mai mi sia trovata in mano: saper tradurre il proprio mondo, senza pathos.

Sandro vive l’alpeggio nella sua forma più inclusiva, quella dell’accoglienza. Così arrivano turisti, vacche di altri allevatori, escursionisti, curiosi e scout. I suoi animali pascolano, la fontina stagiona, la ricotta viene prodotta fuori dalla casera, i tramuti passano attraverso trentasette appezzamenti e trentasette contratti d’affitto stipulati con quei proprietari che del sedimento genetico ne han fatto un baratto, le persone assaggiano e ascoltano. “L’alpeggio Grimondet esiste da secoli”. La famiglia Bonin è di passaggio. Ecco tutto.

La cultura delle Reines, le regine valdostane che si contendono il primato in valle, durante mesi di battaglie dentro l’arena, è qualcosa di inestirpabile. Suo padre e suo fratello sono appassionati dei combat. Curano le vacche con attenzioni estetiche e fisiche. Poi scelgono chi deve andare in battaglia. Le sfidanti si osservano e molte volte non avviene nemmeno una “lotta”. L’onore nel mondo animale è un’anima etologica. Anche le vacche che vanno in alpeggio, durante il viaggio, determinano l’ordine d’importanza. La regina mangia sempre il primo pascolo e sta sempre davanti al gruppo, le altre devono accontentarsi di quel resta. Così le battaglie possono non esserci o possono essere lunghe. Nessuna si ferisce. È più rispetto che forza. Nel 2001, Mandoline è diventata Reina alla finale regionale. L’orgoglio è qualcosa di intraducibile, di quasi impossibile. E così torno al tema delle razze.

La famiglia Bonin ha deciso di allevare solo valdostane, con predilezione per la Castana. Sandro ha provato a mettere qualche pezzata rossa ma il fratello, ancora oggi, cerca di boicottarne posizioni in stalla e rispettabilità. Ha provato anche con alcune capre camosciate valdostane, ma dopo qualche esperimento caseario, ha deciso di lasciar perdere. L’inverno era una continua lamentela: vicini di casa e familiari. La capra devastava terreni e non era la TRADIZIONE. Qui il tradimento non scende a compromessi nemmeno con quattro becchi. La Valle d’Aosta è una regione molto al di là delle previsioni.

Ogni gesto di Sandro è un già un legame. I maiali, la mascherpa, la toma semi-grassa, la sublimazione della Castana e il nitore della stalla. Ogni gesto rinnova l’esperienza di comunicare un mondo così distante.

Fontina, nonno adottivo, alpeggio, stabulazione, passato e mitologia. In una parola Origine.

Alpeggio e sei mesi di stagionatura a Valpelline, dove sanno fare il proprio lavoro. Cremosità da mese-mese e mezzo, occhiatura propionica poco accentuata, dolcezza sopraffina, l’unghia non ha proteolisi in corso, la crosta ha un filo di acari, ma niente mania da affinatore, la lavatura non ha intaccato. Due mungiture, lavorazione a 36 gradi, caglio di vitello, rottura della cagliata in piccoli grani, semi-cottura della pasta per eliminare in parte il siero residuo, fascere, pressatura finale per circa 12 ore, dove le forme vengono rivoltate, salatura periodica e stagionatura. Se prima della marchiatura, la forma non arriva a pesare 8 kili, si trasforma in formaggio valdostano. Straordinaria dolcezza e contrasto erbaceo. Un prodotto perfetto, non fosse per quel semi-grasso d’alpe di fine alpeggio, quando le vacche producono meno latte, che Sandro produce in minuscole quantità. Senza nome, senza storia e senza una definizione. Uno straordinario retrogusto di panna, nonostante la scrematura. Molle, caldo, bianco. Eccezionale!

Ogni tanto voglio ri-godere attraverso gli eufemismi, ogni tanto attraverso le storie. Quella del nonno adottivo di 94 anni potrebbe essere da libro cuore, invece, nelle parole di Sandro è di una normalità sconcertante. “Era rimasto solo in una casa poco lontana, così ho deciso di portarlo qui da me a vivere. Lasciata la ragazza, ormai convivo con lui. La mia famiglia lo cura di giorno, io di notte. Quando si sveglia per andare in bagno, lui sa che lo guardo ed è tranquillo”. Non so, mi sembra così distante da qualunque immagine, da non collidere nemmeno con un’etica. La stabulazione è un’etica, l’alpeggio è un’etica, l’alimentazione delle sue bestie (pascolo estivo, fibre e fieno auto-prodotto d’inverno) è un’etica. La gentilezza disumana di Sandro è già mitologia, forse vocazione…

 

SANDRO BONIN

LES ILES 1

GRESSAN (AO)

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