Kreuzberg è il più classico dei crocevia. Da Berlino americana a Berlino turca, passando per una controrivoluzione punk-dada salvifica dal degrado e finendo per rappresentare una frontiera che è centro in quanto movimento e tessuto sociale. Il muro dietro l’angolo è invasivo folklore di un tempo che non è mai stato privamento di possesso e così Kreuzberg sopravvive agli hipster, ai palazzoni, ai mercati urbani, ai kebab, alla socialità come forma d’arte, alla gentrificazione che ha trasformato tutto in un wurstel, in un caffè e in un risvolto. Dalle farmacie alla decadenza, la trasformazione è stata voragine che ha mantenuto le sedute in legno, la scomodità della cultura e il ribrezzo verso il conformismo. Così, il nero dark è diventato colore, sorrisi e biologico, uno Straight Edge alla berlinese meno cupo e con quei sorrisi barbuti che ormai sono in mezzo tra la deferenza e l’anacronistico. Qui si passeggia, si va in bici, si sta bene e si aggirano i tempi morti attraverso il tepore delle sere impegnate, quelle calorose, che anche se vendi passeggini sei comunque un locale…
Qualche anno fa Alfredo Sironi, figlio di ristoratori comaschi e degli anni ’80, dopo aver preso Berlino da varie direzioni, quella degli ostelli, del lavoro retribuito e del turista, vede la possibilità di inserirsi in un restauro occupazionale, surrogare una manciata di discount qualunquisti e prendere parte al festival delle bretelle e delle magliette a righe. L’artigianato, in tutta la sua portata post-moderna, sotto il gonfalone della riqualificazione afferente e attrattiva, voleva porre le basi per il recupero di un mercato all’interno di Kreuzberg, a poche centinaia di metri dal confine e dall’East Side Gallery. In attesa dell’agibilità, Alfredo si è messo in testa il pallino della panificazione, ha viaggiato per l’Italia, da Longoni a Pediconi fino ad Ezio Rocchi, ha deciso per un pane grosso a lievito madre, molto idratato, con farine poco raffinate e di una moda esportabile, facilmente o meno, ma esportabile. La Liguria, con la sua focaccia, per far impazzire le voluttà teutoniche, la pizza alla pala a lievitazione mista come dichiarazione d’intenti e i cereali minori come completamento. Ma Alfredo è già oltre. E all’inizio non avevo capito…
Lo guardavo da “lontano” fare cose pedisseque, aumentava i dipendenti, guardava l’Italia come un miraggio e si allargava all’interno di un mercato che nella somministrazione, prima che nella vendita, continua a trovare la sua cifra contemporanea, sull’onda lunga dello sradicamento, dei valori, dei ruoli, delle convenzioni. I mercati contemporanei non mi piacciono e continuano a non piacermi ma… Alfredo è già oltre.
A parte l’estrema disponibilità all’apertura concettuale di posti e mondi affini e lontani, mi sono trovato di fronte una persona consapevole, che, appena aperto, stava sedici ore al giorno in panificio insieme a Matej Leopoli, adesso socio, mettendo le mani in pasta senza trovare né grazia né agio, e che ad un certo punto ha deciso.
Grazie ad una burocrazia più fluida e alla crescita del lavoro, si è fatto sostituire in produzione e si è dedicato alla gestione, ad Excel e all’elaborazione di un progetto che guardasse lontano. L’assenza di tempo era assenza di soluzioni, accumulo e dispersione. Così lo sguardo esterno: dipendenti in parte italiani e in parte mitteleuropei, la turnazione completa e flessibile, l’analisi dei vicini e dei lontani, la collaborazione con artigiani presenti nel mercato, dai raffinati macellai (Kumpel und Keule) ai birrai (Heiden Peters), ma soprattutto la separazione tra laboratorio, con una parte dedicata anche alla pasticceria, e vendita. Trait d’union il forno delle cotture, rimasto ancora dietro il bancone, in bella vista, dove finire le pizze alla pala e creare quel po’ di magia, ingrediente indispensabile.
Farine Marino, Grassi e Del Ponte, pani umidi, alte idratazioni, croste friabili, pizze un filo oltre in masticazione, focacce piene… l’idea di Alfredo è un’idea, che si distanzia anche dai “burrosi” pani californiani, ma che riporta il pane a contesto di una degustazione, dove la conservazione è importante e dove il bruciato e il troppo cotto non sono segni ma sintomi. A breve arriverà un nuovo locale, probabilmente in un altro quartiere, e nuove forme collaborative e di studio. Berlino è talmente una città a misura d’uomo da diventare ogni mattina vittima di un incanto e foriera di nuove idee. Chi non vorrebbe investire in uno stato sociale che permette e supporta l’individuo?
SIRONI – IL PANE DI MILANO
EISENBAHNSTRASSE 42/43 MARKTHALLE NEUN
BERLINO