Nocciole su terreni vocati e solo queste storie… Emanuele Canaparo

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Cravanzana. Mille alberi di noccioli per abitante. Un luogo dove i profumi sono talmente nitidi da non aver bisogno di nessuna spiegazione, una rappresentazione icastica dell’Alta Langa senza necessità di racconti o fotografie. Qui, le curve del vino lasciano spazio a quelle delle nocciole, all’abbandono, all’inselvatichirsi e a quelle colline che sono rimaste al tempo delle colline con solo qualche interesse in più. Sono paesaggi privati e vietati, boschi messi in fila e da tenere a distanza. È meglio non farsi ingolosire, è meglio rimanere spettatore e assaggiatore, chiedere e non imporsi. Le nocciole sono l’esistenza senza foglia di un manipolo di agricoltori, di qualche trasformatore e di Emanuele Canaparo, il primo artigiano trasformatore del proprio prodotto.

In quei tempi, dove nemmeno José Noé era arrivato ad una visione così radicale, “Nocciole d’Elite”, marchio della diseguaglianza, ha deciso di prendere in mano quel frutto preda di sgusciatori e grosse aziende. Sono passati dieci anni in cui Emanuele ha lasciato la sua attività di enologo, è tornato nell’azienda di famiglia, ha aumentato la propria produzione e ha deciso di coinvolgere alcuni coricoltori, esclusivamente locali, nel suo progetto di trasformazione. Perché la nocciola di Cravanzana è la nocciola di Cravanzana e “qui tutti coltivano bene!”.

E così parte l’idea di Emanuele. 25 ettari di proprietà di famiglia e il resto preso dai vicini di terreno, nessun biologico (poco interessante sulla frutta secca), trattamento della sola cimice, raccolta a terra, cadenzata e prolungata dall’ultima decade di agosto. Il coinvolgimento degli agricoltori deve avere un senso economico e conservativo. Il paese deve mantenere la propria destinazione d’uso. E così, la famiglia Canaparo ha deciso di evolversi e di mettere in pratica pratiche industriali in scala artigianale. Questo è un tempo in cui paste e creme di nocciole “gastronomiche” sono all’ordine del giorno, del produttore, del contadino e del sofisticatore. Ma non è sempre stato così. C’è stato un tempo che chi raccoglieva nocciole, vendeva nocciole in guscio. L’umanesimo del produttore rimaneva più in basso, avvolgeva Alba e Barolo e il resto eran pecore e filari uggiosi.

Poi qualche pervicace rivoluzionario ha deciso in altra maniera. Ha imparato a tostare, a raffinare, a creare. Ha dato alla nocciola la dimensione che più le si prestava. La filiera poteva essere chiusa e così è stato. I macchinari sono passati dal casalingo al professionale, gli sgusciatori hanno preso mezza cascina e così la produzione è diventata un ciclo continuo di scelte e scarti.

Precisione e attrattiva. Sono due caratteristiche di un’Italia sbiadita e che ricerca se stessa. Le paste vengono tostate seguendo delle gradazioni. In Piemonte subiscono ancora il fascino di Nerone (cit.) e il sentore di bruciato non dispiace, in altre zone e in altri compromessi, il tenue tannico deve uscire e così la pasta chiara diventa un ottimo prodotto da gelateria. Senza eccessi, con una precisione millimetrica che dall’industria ha appreso tecniche e macchinari. La raffinazione è perfetta, quasi troppo. Lo sviluppo della tostatura è molto equilibrato nella crema: mulino a sfere, il 58% di frutta, latte in polvere, zucchero e cacao. Senza cervellotiche dogmatiche, senza deambulare eccessivamente sul filo della pulizia. Così, alla ricerca del gusto. Lo zucchero di canna alleggerisce ma chiede indietro un po’ di melassa. Struttura più che confortevole e sapore che ha bisogno di più assaggi. Finalmente la magrezza, finalmente un prodotto che non spegne la voglia al secondo cucchiaio.

Ma è un paio di anni che in Langa si parla più di prezzo che di qualità. Una lotta deforme tra chi vuole fottere e chi vuole risparmiare. La ragione non sta più nemmeno nel mezzo ed Emanuele se ne tira fuori con un garbo insperato. Mi parla di tempo, di clienti affezionati e di dinamiche egoistiche che han portato agricoltori a tenersi sul groppone il raccolto dell’anno prima. In soldoni “Chi troppo vuole nulla stringe”. E durante le crisi, ci deve essere sempre un barlume di concessione… l’autarchia è l’anticamera della fine, soprattutto per furbetti e invidiosetti del quartierino di cui l’Italia pullula senza i morsi della fame. “Nocciole d’Elite” è un’azienda composta, leggera, senza tachicardie e senza troppe necessità. Basta assaggiare il prodotto per capire che il cliente parlerà sempre al passato, di qualcosa che ha conosciuto e di cui non s’è più voluto privare. E quel centesimo che manca continuerà a mancare, nella soddisfazione da obiettivo raggiunto…

NOCCIOLE D’ELITE DI EMANUELE CANAPARO

VIA SAN PIETRO

CRAVANZANA (CN)

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