“Noi mangiamo le nostre nonne…”. Andrea Guarneri

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Rovato. Non ancora Franciacorta e non più bassa bresciana. Un posto a metà strada. Di frontiera tra il lavoro e la bellezza. Che segna l’abbandono di qualcosa che ha il volto fiero ma aspetta quello sognante. E’ un posto di passaggio. I turisti si fermano a prendere le sigarette. I ragazzi vengono a prendere le discoteche. I gourmet arrivano per un motivo, a metà tra la leggenda e la fama: il manzo all’olio.
Macelleria Guarneri. Piazza Cavour. Mi accoglie Andrea, l’ultimo erede di una generazione di macellai che hanno sede lì dal 1918.
La storica Bottega è rimasta. La rivista AD, come tende a sottolineare più volte l’orgoglio di Andrea, ha utilizzato un’immagine del negozio, visto dall’esterno, come foto di copertina di un numero dedicato a quello che il tempo è riuscito a portare fino ad oggi in termini di ricordo, di bellezza e di tradizione.
Tra le cento botteghe storiche lombarde si è distinta la Macelleria Guarneri. Il motivo è presto detto: non esiste il ricordo per un posto del genere, esiste solo una grande riconoscenza verso quelle persone, suo padre Valentino in primis, che hanno pensato che la bellezza fosse un posto quotidiano e non un ideale. Ed è tutta una questione di stile.
Andrea ha un entusiasmo che gli scivola fino alle mani e che gli riempie la bocca di racconti, di miti, di critiche e di ricordi.
Gli chiedo dell’esistenza di una razza autoctona di Rovato. Qualcuno me ne ha parlato e ho anche visto delle foto (mah!).
La sua risposta rimane vaga, a metà strada tra il non esiste più e il non è mai esistita.
Lo incalzo. Mi dice che non ci sono più allevamenti a Rovato. Lo incalzo. Sostiene che probabilmente non ne è rimasto nemmeno un capo. Lo incalzo. “Io utilizzo principalmente razze Charolaise e Limousine, allevate da persone di fiducia in Emilia, qualche volta la fassona e qualche volta il bue grasso”. Lo incalzo e poi decido per la poesia. Il manzo di Rovato è rimasto un piatto tipico. Dissolvenza in nero.
Manzo all’olio di Rovato: il taglio di carne che consigliano i più è il cappello del prete, parte dei muscoli della spalla del bovino, “ideale” per lessi e bolliti, venato di grasso (e non così leggermente…), di forma stretta e allungata. Sapido, affabile e succulento.
Ma Andrea lo sfiora soltanto. Passa in rassegna altri tagli. Scamone, noce. E poi si ferma sul guanciale. Lo prende. Ecco il taglio perfetto. La morte sua. Ricco di fibre e di gelatina naturale, facilmente digeribile. Intenso, corposo, pieno.
Prendere il suddetto pezzo di polpa, steccarlo con acciughe, adagiare in una casseruola, con un bicchiere d’olio d’oliva, qualche spicchio d’aglio e il brodo (preparato in precedenza) quanto basta a bagnarlo. Cuocere lentamente per tre ore. A cottura quasi ultimata, aggiungere una manciata di pane e formaggio tritati e servirlo molto bollente.
Un piatto povero di una rara tradizione di ricette, luoghi, miti, storie e leggende.
Uno di quei piatti che hanno raggiunto la straordinarietà grazie al fatto di essere trasversali. I grandi chef del luogo (da Fusari a Marchesi, da Albini a Cerveni), gli appassionati, le massaie lo hanno reso grande, dandogli colore, notorietà e quotidianità. Togliendolo dall’indigenza di un taglio austero per consegnarlo alla bellezza e alla memoria, per affidarlo alle gonne lunghe e protettive delle nostre nonne.
Ad Andrea, assolutamente affascinato da tutto ciò che non lo riguarda direttamente, brillano gli occhi ad ogni sussulto di ricordo. Come quando mi racconta delle volte in cui Gualtiero Marchesi si presentava a bottega e sceglieva direttamente i tagli di carne, mostrando una sapienza mai più ritrovata. “Nessuno chef conosce la carne come lui”. Oppure di quando Oliviero Toscani, prima e la rivista AD, poi, son venuti a magione per fotografare la loro storia, mettendogli tra le mani una fiorentina di chianina (senza capire il senso di quello che stavano facendo… ma questo lui non lo dice… è troppo candido). O ancora di quando deve consigliarmi un pezzo di carne o di quando gli faccio il nome di alcuni macellai italiani che lui rispetta e ammira.
Andrea è il desiderio di abbracciare un altro essere umano.
“Ormai macello poco. Mi occupo quasi esclusivamente della frollatura”. E dopo aver assaggiato la sua carne (uber alles un controfiletto alto tre centimetri, rosso di Persia, magro con una leggera striscia di grasso intorno e lavorato a tagliata, da stramazzare al suolo…), mi accorgo di come l’entusiasmo ingenuo e quasi solitario di questo tenue e verace ragazzo di provincia coincida perfettamente con la scelta che avrebbe dovuto fare, se avesse avuto la possibilità di scegliere. La tradizione lo ha anticipato e ha riempito il suo cuore di passione e sangue.

MACELLERIA GUARNERI
PIAZZA CAVOUR, 9
ROVATO (BS)

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