Parona. Fulcro della Lomellina. Una strada e una diocesi. Nulla più. Una via di passaggio tra Vigevano e Mortara che non chiama nemmeno al pensiero. Vedi il cartello di benvenuto e quello di commiato, il resto è mezza canzone alla radio e un pensiero sull’uggia di un clima sempre uguale a se stesso, perverso e reumatico. Dalle risaie arrivano i dogmi e dai termovalorizzatori gli odori. Qui l’inquinamento è un lato senza oscurità, è palese e regolamentato. Ci sono pochi eguali in Europa, decadenza e case basse, consumo e becera industrializzazione. Chi c’è, deve restare, pena la sparizione, e così in questo angolo di mondo, particolarmente sfuggente, c’è anche chi si prostra a dare la colpa alle stufe a legna, segno evidente di un passato che mai s’è voluto inverare in nulla più che in una semplice reiterazione casuale di ritualità ataviche, stanche e legate perlopiù alla superstizione. Ma questo è e rimane soprattutto il paese delle Offelle, la semplicità del dolce in tutta la sua espressione.
Invenzione che si perde nel tempo. Le sorelle Colli a fine ‘800, nella cucina di casa, trovarono il più casuale degli impasti azzeccati. Dalle case ai forni il passaggio è stato naturale. La richiesta aumentava e l’opportunità di allargarsi è stata scoperta prima dell’America. Uno di questi forni era della famiglia Collivasone. Si faceva pane, s’impastava per il paese. Così la ricetta è stata uno scambio di mestiere e, fino alla fine degli anni ’60, l’interesse non ha mai snaturato la possibilità. La Madonna del Rosario, ad inizio ottobre, è diventata la Sagra dell’Offella, in quel cortocircuito salvifico che di un paese ne fa una tradizione. L’eponimia ha funzionato, l’inceneritore ha cercato di mettere il bastone fra le ruote della fama e i fratelli Collivasone da prestinai si son trasformati in biscottai, abbandonando parte dell’arte bianca per dedicarsi a quell’unica creazione, con varianti più o meno azzeccate, sinonimo di semplicità dalla Napa Valley a Tokyo.
Gli ingredienti sono letterali, c’è del burro, dell’olio d’oliva, nessuna aroma, una farina debole da battaglia, baking e lo zucchero semolato. Una friabilità abbastanza estesa ma non così frolla, una forma ovoidale e una facilità all’accoppiamento raro. Il latte è un apice, nonostante la contemporaneità lo abbia ostracizzato e messo all’indice come una delle prime cause di malessere, e così il tè. Sono assuefacenti. Sembrano senza fine. È nella reiterazione della semplicità che trovano e continuano a trovare un senso molto al di là delle mode e delle tinture di sapori.
Per quell’anima nichilista, che non ha allargato gli orizzonti perché non riusciva a trovare un collegamento tra allargato e orizzonti, di quel nichilismo privato di ironia e proteso al consumo di quell’unico prodotto consolatorio e contestualmente perfetto, l’Offella è rimasta l’unico vero “biscotto”.
E così negli abbinamenti c’è un po’ di confusione, ma son pecche di territorio, poche anime dissepolte che chiedono sempre qualcosa di più e di diverso. Non tutti produciamo menù stagionali per sotto-cosce da ingrasso, ci sono anche persone come Giuseppe Collivasone (insieme a suo fratello e a sua madre) che ha preso l’artigianato in quella serietà di maniera che nella ripetizione salvifica trova il suo senso assoluto. Giuseppe ha appreso e messo in opera una bontà. Semplicemente, nella semplicità della parola semplicemente che è sempre uguale a se stessa come una nota che imita la natura. E quando la testa scoppia e la sperimentazione ha completato il nostro stupore, lì si colloca l’Offella, un atto confortante, qualcosa che ci sarà sempre e che non avrà mai una discussione. Un senza voto, simbolo molto più che giudicato…
FORNO FRATELLI COLLIVASONE
VICOLO TURATI 1
PARONA (PV)