Riserva San Massimo: l’impossibile riso della Pianura Padana… Dino Massignani e Guido Antonello

san massimo

Gropello Cairoli è un paese aperto, sorridente, con un orizzonte, una via trafficata e delle facciate pastello. Una rarità in queste terre orientali di Lomellina che cavalcano il Ticino con i suoi abbandoni e la forma cascina come lascito compulsivo di un lavoro sulla terra che è stato dapprima un logorio di funzioni e conoscenze. Gropello si distende non particolarmente latente, ha delle facce invaghite dalla mattina e non concede sorrisi troppo scostanti alle domande sulla direzione. Perché qui perdersi è un attimo e ogni cascina è un luogo illustrativo, privato dell’opportunità di uno sguardo dall’alto e impossibile da non rendere se non attraverso il ridicolo. Perché ogni bellezza è trasformabile in una perversione e goderne rimette tutto in quel senso di angoscia che apre risaie e chiude sui boschi, in quel sentiero interrotto flavescente che non porta da nessuna porta se non verso una quieta inquietudine, verso l’uscita, verso la tranquillità della riserva di caccia e la familiarità del trattore e della strada in lontananza. Riserva San Massimo è senza alcun dubbio il luogo più stra(ordinario) della Pianura Padana.

Dopo alcuni passaggi di proprietà che hanno inglobato ettari di bosco tutti sotto lo stesso padrone, la riserva è passata nelle mani di Guido Antonello che decide di destinare i 600 ettari aziendali ad una riserva di caccia, chiusa a sguardi concupiscenti, dove poter salvaguardare fauna e flora di una Pianura Padana mai rimasta così selvaggia. Fino all’arrivo a corte di Dino Massignani, rivoluzionario forestale che conosce la Lomellina, conosce la gestione aziendale e prova a guardare oltre, laddove l’espressione è rarefatta e le orme si obliterano con la neve: riso carnaroli autentico.

Duecento ettari della tenuta, nel tempo, sono stati dedicati alle risaie. La madre di Dino era una mondina e lui si porta dietro i segni di un passato che per presenziare deve dipendere da fattori interiori prima che esteriori. E così le torve ombre della risicoltura avvolgono quei boschi tempestati da caprioli, daini, fagiani, germani reali, anatre e nutrie. Dino non ha molti peli sullo stomaco e le sue critiche partono sempre da un punto di vista sul mondo pertinentemente pertinente con la purezza dell’ambiente in cui si muove. Così se limiti ci devono essere nella conoscenza archeologica e in quella agronomica, la carezza diventa sempre uno schiaffo. Dagli essiccatori sull’aia al petrolio come combustibile fino alla stabilizzazione dell’amido da cercare, più che nell’invecchiamento, in alcune varietà commercializzate in Italia sotto il nome di Carnaroli. Giacché esiste una legge, e la sua conseguente sofisticazione, nel riso la ricerca è sempre stata una mezza strada e le vie antiche si sono sempre confuse con quelle moderne. Dino ha messo a dimora Carnaroli autentico che raggiunge il 1,60m di altezza (spighe lunghe contenenti quasi 200 chicchi) – e sapete il mio interesse verso i parametri quantitativi visto quanto l’esposizione alla luce del sole conti -, con un modus operandi che viene dalla terra e torna alla terra, integrato per definizione (e sul biologico non spreco nemmeno tempo visto il periodo in cui vengono fatte certificazioni e controlli) e assolutamente rispettoso di una vita e di un ecosistema che guarda le diversità non da un libro di teosofia ma da un fontanile devastato dalle nutrie. Coi piedi nella merda e l’acqua sorgiva al ginocchio, Dino fa pacciamatura e sovescio per il Rosa Marchetti, dedica qualche ettaro al Vialone Nano e il resto ad un amidaceo Carnaroli. La pilatura viene fatta in società con una riseria poco distante, a piccole partite prelevate direttamente dai silos dopo l’essiccamento a gas. Integro e compatto, il riso che arriva in tavola deve lasciar da parte il verde e il rosso. Il troppo umido e il non giunto a maturazione sono esclusioni per avere un Carnaroli perfetto, quasi troppo. I risotti sono al minuto, rilasciano tanto amido, la masticazione è piena e in bocca non c’è nessuna collosità. Quasi unico nella sua specie, l’integrale sgrana quasi più di un Vialone Nano, perfetto nel riso alla Pilota, e un filo lasco nella bollitura. Sono risi fragranti, che stanno bene anche in solitudine.

In mezzo al bosco, due ragazze hanno portato delle arnie per fare miele millefiori e d’acacia. Eccolo lì, finalmente! Adamantino e diafano, lo si può tagliare da parte a parte, una robinia incredibile, quasi unico nello spettro dei millefiori venduti per acacie: sapori, consistenze e strutture. L’ambiente è un luogo sicuro, oscuro e imperiale. Tra case patronali e maestranze. Ci fosse anche la sostenibilità, sarebbe l’idillio, ma boschi e tasse mal s’attagliano col progresso e così bisogna attendere e provare la strada di un commercio e di una comunicazione che mettano d’accordo qualità e clientela. E nel riso non è semplice. Si prova con i volti di alcuni chef e con la lunga strada del risotto…

Dino è un pugno schietto, una di quelle persone che, anche nella polemica, non può che fare bene ad un mondo che puzza di nafta, di stantio e di markettari da pesca nelle risaie. Così il congedo è un fuoristrada verde militare che si allontana, parte integrante di una comunicazione basata su una legge semplice, chiara e rispettosa: prima vedere con i propri occhi poi discettare…

RISERVA SAN MASSIMO

LOCALITA’ SAN MASSIMO

GROPELLO CAIROLI (PV)

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