Pasticcieri definiti in città dormienti… Stefano Brustia

Ivrea. Una città sempre più intorpidita, trapassata dalla crisi e opponente una resistenza carnevalesca. Dove non arrivano le arance e le tastiere dell’Olivetti, ci han pensato le nuove abitazioni, le rotonde e un compasso di disinteresse che l’ha portata fuori da qualunque fermata, proprio perchè su ogni rotta. Ad Ivrea devi fare con la gente del luogo, con una borghesia vituperata ed avvizzita, che lentamente sta togliendo il comando dalle parole mattutine, con una gioventù ombra che, se potesse, aggiungerebbe illusione allo spettro di un passato ingombrante e zavorrato, e con quel fascino da ideologo capace di non sottindendere. Ultime propaggini sabaude che, alla Torino della diffidenza, non sono riuscite né ad arrendersi né a riprendersi. E così la miniatura è sempre più una distanza echeggiante. Qui, sotto ad un non luogo, Stefano Brustia ha trasferito la sua pasticceria.

Un modello d’imprenditoria, stanze definite, storie da rimettere in ordine, una moglie compagna di viaggio e un tempo già andato oltre. Qui il modello architettonico è quello del lindo e del borghese, mentre le divisioni e i dolci sono la rappresentazione di una clientela da appartamento appartato. L’apparenza, tuttavia, è sempre un inganno etico. E così il disinteresse diventa presa di coscienza di un territorio. La zuppa d’ajucche, un’erba spontanea della famiglia dei raponzoli, tra l’ortica e l’amaro, è un piatto straordinario, localmente digeribile e comunicativamente indifeso. Il dolce deve aspettare.

Accoppiamenti quotidiani, tra il consueto e il fatto bene, dove cioccolati, frutti di bosco, consulenze, timidezze trasformate in padronanze, maestrie reali e bignole di tutti i tipi fanno da preliminare alla torta Brustia, cacao e una crema montata a freddo, un’ineludibile necessità territoriale, a metà tra l’amanuense e il rivoluzionario, un’innominabile concessione al benessere, straordinaria nuvola che squarcia il sereno. Nonostante qualche aroma da rimettere in ordine, la si finirebbe. E non la monoporzione… Alla stessa altezza gli Eporediesi, frutta secca, albume e cacao, per una resistenza estrema.

E mentre lentamente la sicumera diventa dialogo, il riserbo messa in condivisione e il laboratorio un’analisi sulle possibilità future, Stefano mostra la sua abilità più abilitante, quella di non sentirsi arrivato, per cui il fare cassetta non è l’ultimo dei simboli condivisi e in cui la possibilità di trovarsi lontano fa ancora sussultare.

Non è una pasticceria di sibili, non c’è la contemporaneità dei giovani stringati, è un susseguirsi di dolci antichi, moderni, prolissi e fatti bene, però il gusto rimane pieno e la voglia di mangiare lo supporta… l’originalità non ha bisogno di dimostrazioni legali e marchi registrati, l’artigianato italiano non deve mettere in pericolo se stesso…

PASTICCERIA BRUSTIA

VIA CARDINALE RICHELMY 24

IVREA (TO)

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