Plaisentif (o formaggio delle viole), l’avvocato Agnelli e altri racconti… Chiaffredo Agù

Villar Perosa. Possedimenti agricoli della casata Agnelli. Qui tutto riporta ad un solo nome, ad una sola famiglia e ad una sola dinastia. I tempi morti contemporanei, i fallimenti aziendali, i politici che si sono succeduti, l’abbandono del “Castello”, l’assenza del ritiro juventino alimentano il paradosso di una crisi irreversibile, di un tempo che non ha più uno spazio in cui procreare, creare e gozzovigliare. Perché qui c’è stato un regnante senza scettro. Primo Cittadino per quarant’anni e tasse cancellate per tutti i residenti, l’Avvocato qui era oltre il sultanato, aveva terreni, aziende, ville, mausolei, strade, rifugi antiaerei e soprattutto la stima incondizionata della gente. Pensate a quei poveretti che, durante le campagne elettorali, lo hanno sfidato per la carica. Il Plebiscito hitleriano del ’38 per la riunificazione con l’Austria del Reich sarà sembrato più democratico. Il candidato sindaco, che veniva anche lui dispensato dal pagamento delle imposte, chi mai avrà votato? E pensate all’eroe che dopo il 1980 prese il suo posto? Qui è tutto impregnato, la bellezza e le brutture, templi cristiani e templi pagani, giardini, cascine e fabbriche.

La famiglia Agù è qui da poco più di dieci anni, prima l’inverno lo passava più in basso, poi l’opportunità, la concorrenza di altre aziende agricole e la decisione dei regnanti. Senza indugi. La figlia dell’Avvocato, prima, e il maggiordomo, in seguito, andavano direttamente in alpe a comprare Plaisentif e Tome. La scelta è stata semplice. Chiaffredo, insieme a sua moglie Paola e ai figli Laura e Marco, ha sempre alpeggiato a Sellieres, uno dei posti meno intransigenti delle Alpi Cozie e probabilmente di tutto l’arco alpino, un lago, fioriere, pascoli sconfinati, un rifugio, stalle e stanze raffinate e soprattutto distese di violette gialle, tra giugno e luglio, simbolo incruento di saperi arcaici, di sguardi indefessi e di poche parole. Perché qui l’alpeggio è ancora una gioia – suo figlio conta i giorni che mancano a giugno – e le forme per il 2017 sono già quasi tutte prenotate, mentre l’inverno è lungo e fatto di cascine e di Abondance e Montbeliard tra la stalla e il primo pascolo, di tome del lait brusc, lavorazioni mattutine con il latte inacidito della sera a cui viene tolta la panna, paste erborinate con il penicillium roqueforti e seirass senza fieno.

In questi formaggi di cascina, nelle tome stagionate poco e cotte ancora meno, nella semplicità che non richiama i sentori ancestrali del formaggio delle viole o delle tome di agosto, Paola trova veramente il tocco, quella capacità rara di avere un latte grasso e aromatico senza disperderlo nella banalità dell’inverno, stagione che nell’esteriorità di cappotti e sciarpe fa assomigliare un po’ tutti. Il lait brusc ha sì acidità e amarezze che spiccano ma, superata la “cantina”, in bocca esplode un’aromatica calda di fuoco e legno, mentre le muffe del blu non coprono i profumi col dolciastro volatile ma lasciano al latte ancora il suo ruolo di guida.

I formaggi invernali della famiglia Agù sono rari e basterebbero alla serenità… se non ci fosse la pervicacia di capire le situazioni. Chiaffredo fa una chiamata, le due ultime forme di luglio sono ancora in azienda, già vendute e già pagate. Tuttavia, quando l’interesse prescinde dai dati di fatto, il romantico può ancora imporre il suo punto di vista: ecco il Plaisentif assoluto, che rispetto al mio ricordo, passato remoto e prossimo, non c’entra assolutamente nulla. Straordinario anche con la punta di fermento a rendere tutto più tondo: erba e violette nitide in bocca, stuttura fondente e un filo elastica, masticazione lunghissima, retrogusti infiniti, basta a se stesso e rappresenta uno dei più grandi formaggi italiani. Ma non il Plaisentif in generale, il Plaisentif di Chiaffredo stagionato da Chiaffredo, con i tempi giusti e le giuste asciugature. Una forma perfetta, un liberamente sapido che non strizza l’occhio alla civiltà. E la Toma, quella che si fa ad Agosto e Settembre, quella che profuma di Toma, di grasso e di erba, si affievolisce un po’ nel paragone. Oltre il rispetto.

Chiaffredo, detto Dino, un po’ per sovraesposizione, un po’ per quel cortocircuito metropolitano che mi ha fatto pensare fino alla stretta di mano che il nome fosse Agù e il cognome Chiaffredo, riassume bene l’aspetto dell’allevatore contemporaneo, innamorato di tutte le fasi della filiera e assolutamente conscio del suo essere mancante, di avere bisogno di una famiglia che lo supporti nel tenere a bada il progresso e nell’offrire nel racconto, visivo e dialettico, la semplicità di un rurale che è, chiaramente, fatica e sudore ma che scommette sempre più sull’umanità di saper fare tutto il contesto. Molto oltre il formaggio.

Dino e sua moglie sono ancora innamorati… basta il tempo e basta il modo. I nascondigli li lasciano agli altri, così come le invidie. Chi fa il formaggio delle viole non ha bisogno di strade brevi. Alpeggio, pascolo e cascina… Sceglierli significa non estinguersi…

LA FORMAGGERIA DI AGU’

VIA DEL CASTELLO 19

VILLAR PEROSA (TO)

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