Quattro Portoni: potenzialità e funzionalità… Fratelli Gritti

GRITTI

Cologno al Serio. Pianura bergamasca, mura e assenza. L’età medievale è stata miscelata con l’anima di questi luoghi: lunghi viali informi che portano dentro la nebbia di cascine diroccate senza una comunicazione perseguibile. E qui nascono e muoiono le quote latte, l’agricoltura di sussistenza e il piacere di rimanere paese in un rendiconto che non potrà mai essere esportato nel mondo. Perché le facce di pianura, le occhiaie senza limiti, le rughe in mezzo ai denti e quel corrosivo che si porta via saluti, smancerie e frivolezze, sono esemplari senza risvolti, fatti di foto in grigio sbilanciato e terra secca e disperata, dove la comunione con la cosa pubblica è stata più un esborso che un reddito. Qui in mezzo, la tipicità non poteva che essere la tipicità, se non per un cambiamento di rotta che i fratelli Gritti hanno deciso di imporre pervicacemente a quell’allevamento che ha trasformato un’intenzione.

E così sono arrivate le bufale. La tradizione di famiglia non è mai stata una tradizione. C’era una cascina e c’erano dei terreni. Bruno e Alfio hanno deciso di rimetterla a nuovo e di cominciare il più classico degli allevamenti di vacca Frisona per conferire il latte a quei caseifici di Grana Padano o Taleggio che hanno preso la Pianura Padana per il proprio parco giochi di formaggi “pro grande distribuzione”, figli di una visione fermentativa post-bellica dove il nutrimento proteico, senza alcuna caratterizzazione se non il dolciastro, era il primo e unico Dio. Così, dopo una visita alla fu Invernizzi-Philip Morris, dove un manager capobranco gli consigliò di seguirlo nel burrone, decisero di convertire l’azienda agricola in un allevamento di bufale mediterranee.

Iniziarono, affiancandole alle Frisone e verificando le possibilità di quel latte, così diverso, così grasso, ma soprattutto così più sostenibile, economicamente e non. In poco tempo lo sviluppo del loro prodotto stava diventando una realtà. Il latte non sarebbe più bastato. Necessitava una trasformazione, una territorialità, qualcosa di nuovo e un’assenza di fascinazione verso la concorrenza. La mozzarella della Piana del Sele non sarebbe stata il prodotto di quelle brume e di quelle stalle. Le paludi con bufali, “dall’aspetto di ippopotami e dagli occhi selvaggi e iniettati di sangue”, non erano né così affascinanti né così produttive. Portare clienti nella Piana del Serio sarebbe stato il principio della diversità.

E così Bruno ha cominciato a studiare la caseificazione e le forme del latte, mettendo in produzione tutti i formaggi possibili e anche quelli non immaginabili. Dalle paste crude alle paste cotte, dalle paste molli a quelle dure, dal latte pastorizzato a quello crudo, dagli erborinati alle croste lavate fino alle croste fiorite. Similitudini con nomi diversi, un po’ improvvisati e di basilare comunicabilità. Tolta la dolcezza un po’ “cotta” del fermento, i formaggi spiccano per grassezza al naso… il latte di bufala non si può nascondere, nemmeno nelle paste che filate non sono. E nonostante tutto, anche la mozzarella è un buon prodotto. Niente peana, niente sfogliatura, ma tutto sommato un’ottima serbevolezza. Erborinato un filo troppo dolce, taleggio ben mantecato, quartirolo, fantasma di un passato padano senza retaggio, particolarmente interessante, Moringhello (una sorta di canestrato a pasta semi-dura) con una bella tessitura, crescenza e primo sale un po’ piatti soprattutto nei retrogusti (da curare maggiormente in tutti i formaggi) e Granbù (l’unico prodotto a latte crudo) veramente buono: pasta compatta, dolcezza bufalina non eccessiva, bella salamoia e stagionatura poco penetrante. Bocca pulita ma burrosa e particolarmente lattica.

Ecco! la ripartenza deve essere da qui. Le sirene del mercato orwelliano statunitense chiamano e la bassa padana deve rispondere con una diversità previo-controllo e con un prodotto che, anche nel fresco, deve avere la connotazione di uno straordinario esempio di allevamento. Bruno è figlio di queste caligini e in queste terre ha creato l’elezione di un carattere. Aspro e cortese. È una lotta continua all’apparato che non porterà, ahimè, da nessuna parte. Tra quote latte, associazionismo, morti in battaglia e potentati vaccini, questi luoghi potranno essere sempre e solo una terza via, qualcosa di tangenziale. E così I Quattro Portoni devo diventare più tenui, con quella commercialità latente che dovrebbe e potrebbe essere solo racconto…

 

CASEIFICIO QUATTRO PORTONI

VIA CREMA 69

COLOGNO AL SERIO (BG)

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