Rosso di Mazara: l’artigianato del gambero… Paolo e Nicola Giacalone (*scritto insieme a Vincenzo Mineo, profondo uomo di mare)

giacalone

Mazara del Vallo è un luogo immigrato ed emigrato, con un guazzabuglio di stili degno di una storia di confine, di un sovrappopolarsi e di uno svuotarsi. Dagli arabi ai tunisini, il tempo sembra essersi bloccato in questa città che dentro la pesca ha infilato per sempre la propria discendenza e la propria formazione. Ma con un al di là, con qualcosa che potesse andare oltre l’imbarbarimento delle città di mare che hanno trasformato l’uniformità dei flutti in brutture architettoniche. Mazara, col vallo o senza vallo, dominatrice o dominata, ha mantenuto fiorite piazze e strade, portici e chiese. Il mare trasparente, che nel verde e nella voglia di fuga ha ritenuto coerente tutta la sua forza propedeutica, rimane lì arrendevole nella previsione di quello che là, in mezzo alla mutevolezza del Canale, diviene dispersione, paura e adesso controllo. Quando guardi il mare, la poesia torna velocemente dentro il cassetto, le onde diventano marosi e il barocco è un’eco lontana di tempo familiare. Trentadue giorni in barca e sette a casa. Il tempo è un’efferatezza che ha solo una fine. E così, al di là del porto, esiste quell’unico artigianato al mondo che forgia il proprio mestiere sul mare e non sulla terra.

Arriviamo a Mazara del Vallo in una ventosa giornata di fine estate. Il maestrale scuote le fronde degli ulivi, la ricchezza di queste valli : nocellara, cerasuola, biancolilla, i filari ben ordinati, le potature basse… I vigneti al tempo della vendemmia… Ma c’è un altro frutto che oggi ci attira e ci coinvolge. Viene dal mediterraneo, dalle sue profondità, dai sei-settecento metri dei banchi del canale tra Sicilia, Malta, Tunisia e Libia. È il gambero rosso, oggetto del desiderio della flotta mazarese. Quella flotta , che per molti anni è stata la più grande flotta peschereccia italiana e che è stata anche la prima ad affrontare il dramma dei barconi carichi di umanità… quando le piccole vedette della guardia costiera chiedevano il loro aiuto per posizionarsi sottovento e raccogliere i disperati col mare forza sette-otto. I pescatori sono una razza strana, profonda, avvolgente, infida e amica allo stesso tempo. Ed anch’essi sanno essere amici, salvatori e talvolta anche un po’ infidi come il mare.

Paolo Giacalone viene da una famiglia di marinai diventati armatori per ritornare marinai, ha la circostanza diretta di chi il mare lo ha sempre vissuto e di chi dal mare, ad un certo punto, ha ricevuto indietro una pulsione di morte e di terrore incontrovertibile. Così ha deciso per la terra, per il pensiero e per la comunicazione. Al di là del mistico-filosofico che appartiene a suo fratello, lui è e rimane un pensatore d’azione, un’anima manifesta, iconoclasta e sarcastica, con quel vezzo comunicativo, che al di là del fatto di aver rivoltato un paese per dargli un’apparenza di selvatico coraggio patinato, rimane intrisa degli odori salmastri del suo mestiere. Che ha rivoltato come un calzino. Un pescatore, come lui stesso si definisce, dagli occhi chiari e dall’accento appassionato quando parla del suo prodotto.

I Giacalone si definiscono produttori, perché pescare il pesce, curarlo e trasformarlo in un gioiello è opera di quell’uomo che rimane un passo dietro al commerciante. Ed è lì che il compasso della differenza non può che allargarsi, loro hanno il controllo assoluto del loro prodotto, pescato a 700 metri di profondità, senza tempi e senza abitudini, abbattuto a 50 gradi sotto zero in barca senza nessun tipo di solfito. La surgelazione conserva alla perfezione un crostaceo che è diventato lussuria negli occhi di chef e commentatori dal formidabile sempre sulla forchetta, ma che per 32 giorni rappresenta il sostentamento e la bestemmia, il rispetto assoluto verso i tempi che il mare detta, senza prescrizioni e senza proroghe.

Quel gambero, con quelle caratteristiche organolettiche, con quel profumo di mare, pieno di uova coralline e di succhi inebrianti, con quel riflesso a volte nerastro nella testa, che impaurisce i terricoli avvezzi allo sbiancamento di tutto ciò che viene dal mare, che non hanno avuto la fortuna di vedere i colori incredibili che le creature marine hanno nel loro elemento, per arrivare nel piatto ha bisogno di un lavoro estremo. Dal capitano del peschereccio che segue i venti, conosce i fondali, sa quando fare la calata e come evitare le insidie, ai marinai che selezionano, puliscono, congelano, in una catena del freddo che, o è perfetta o farà perdere il prodotto, tutti lavorano per ottenere il risultato. E se la logica non è solo quella imprenditoriale dell’armatore che ha bisogno di incrementare il pescato a qualunque costo, ma diventa quella del pescatore che vuole arrivare ad un prodotto che rappresenti veramente l’anima di una marineria e di un territorio, allora l’idea di artigianato e di cura del prodotto ritorna con prepotenza e con dolcezza insieme.

Nel porto due soli pescherecci, dedicati alla sola pesca del gambero e nelle celle, dove correttamente non entriamo, il Rosso di Mazara impera. Quattro scelte, dalla prima alla quarta, con una grande precisione nella selezione del pescato. Scontata la grande qualità del prodotto, bellissimi i grandi esemplari della prima scelta, con un nero opulento nelle teste (da non perderne nessuna), ci lasciamo tentare dal crudo della quarta. Per molti venditori potrebbe essere tranquillamente una seconda o al massimo una terza come misura, ma il profumo ed il sapore incantano. Nessun tipo di retrogusto se non quello del mare, non il minimo sentore di “bruciatura” da congelazione, i pescatori del Diamante hanno lavorato veramente bene. E non è così scontato!

Paolo è un artigiano che parla da artigiano e ha gli occhi centrati sul mare come un bisogno e non come quel desiderio di gambero rosso lustrato per patinare un piatto. L’ignoranza insolente si deve lasciar cadere tra un aneddoto e un ghigno, non si deve mai andare oltre. Perché un marchio come Rosso di Mazara, nato da pochi anni, necessita di una simbologia e di un far sapere dettato dai luoghi del consenso e dai palati ben infilati nelle tasche. La pelle di un mare che non si sa per quanto ridarà ancora indietro, di un’Unione Europea che fa la guerra alle maglie delle reti e alle licenze di pesca – ma che se sfruttata può portare a nascite e rinascite – e di pescatori che nella dedizione devono ancora trovare un conforto, passano attraverso stagioni che sono sempre diverse e da desideri sfacciati che vogliono sempre lo stesso prodotto. Peso e lunghezze. Un mare addomesticato che non è di questi luoghi e di queste persone. Paolo è già lontano, è già oltre…

ROSSO DI MAZARA

VIA MARIO FANI 35

MAZARA DEL VALLO (TP)

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