Birrificio Italiano: iconoclastie brassicole… Agostino Arioli

arioli

Limido Comasco è un luogo di passaggio su quel confine invisibile tra le province lombarde che il riguardo ha trasformato in necessità. Per capire che la tradizione di un posto si è trasformata in indifferenza bisogna accorgersi delle costruzioni edili, di quelle case che non hanno più legami se non con l’obbligo di dormire, la partenza mattutina e il giardinetto salva-weekend per dei figli che hanno finito di confondere l’asfalto con il selvatico. Lì in mezzo c’è quella coerenza borghese del numero prima di tutto, del capannone come unico dio e della rotonda come luogo dove far nascere nuove imprenditorie e vecchie artigianalità, con l’offerta cappuccino + brioche sempre in bella vista. Ecco, il limite della provincia lombarda è uno di quei luoghi in cui avere qualcosa da mettere in opera. La mancanza di distrazioni è talmente coinvolgente da preferire un prefabbricato ad un passatempo. Qui, in questa mezza via, Agostino Arioli ha trasferito da qualche anno la produzione della sua birra. A Lurago Marinone è rimasto il suo pub mentre gli ettolitri aumentavano e la necessità di spazio anche.

I solidali anni ’80 della birra fredda nelle notti d’estate lo hanno portato verso la ricerca. Il suo Belgio è stato la Germania e la pilsner la sua birra d’elezione, quella da cui è partito tutto.

Homebrewer, studi universitari e birraio di professione. Un percorso confortevole, almeno per il mestiere. Qualcosa di assolutamente nuovo, assolutamente slegato a tradizioni e famiglie. Dieci anni di birra in casa e, nel 1996, insieme ad un manipolo di oltranzisti, assolutamente inconsapevoli l’uno dell’altro, ha aperto uno dei primi birrifici italiani. La bassa fermentazione, ora sul piatto delle icone da distruggere perché hanno reso qualunquista un mondo nato dalla passione e arrivato corrivo a quelle implicazioni enologiche che con la degustazione hanno invaso campagne e buon senso, è stata il suo abbrivio, la sua riconoscibilità nel tempo, la sua gloria e il suo tormento. La Tipopils è un classico paradigmatico di una birra senza tempo. Copiata ed elogiata, ha il carattere con più retaggi brassicoli di tutti e la complessità dell’equilibrio. Straordinario esempio di eponimia molto al di là delle mode, dell’amaro (esiste la versione più luppolata) e della convivialità. La Bibock si beve che è un piacere, schiuma ricca e una dolcezza sorprendente. La Delia, dedicata a sua moglie e bomboniera per il suo matrimonio, un miele balsamico che assomiglierebbe a una Pils se avesse qualcuna delle sue caratteristiche. Sulla B.I. Weizen soprassiedo, non l’ho capita e non l’ho goduta, così posso permettermi di passare alla Vudu che è assolutamente rara. È un dolce-amaro tra la banana e il chiodo di garofano, piena zeppa di aromi ma assolutamente bilanciata. Probabilmente la birra che ai miei occhi di povero mendicante lo rappresenta di più.

Il resto è una continua antitesi che non diventa mai una soluzione. Agostino è a lunghi tratti urticante, a tratti iconoclasta, a tratti antipatico, per niente condiscendente, rimbalza al mittente qualunque domanda ma soprattutto qualsiasi definizione, sempre vuota, priva di senso o assolutamente abusata. Così, probabilmente, ha creato quell’aura ieratica un po’ “ancient prodige” della Silicon Valley, modi e abiti tenui e una durezza zen che ha auto-digerito le cellule hippie del potere ai fiori, rilasciandolo a fenoli, esteri e alcoli: nella complessità dei suoi assaggi, in quella chimica che, padroneggiata in maniera certa, può essere rivoltata, rigirata e tramortita. Senza il bene placito del palato che o si adegua in un finto soggettivismo o può tornare a mangiarsi una Pesca Melba con una Peroni ghiacciata ad un tavolino appena fuori Piazza Diaz. Perché lì, al Birrificio Italiano, c’è un’oggettività senza sorrisi e senza compiacenze, un sintetizzatore e una musica teutonica che ha insegnato il funky ai fratelli del ghetto…

 

BIRRIFICIO ITALIANO

VIA MONVISO 2

LIMIDO COMASCO (CO)

 

VIA CASTELLO

LURAGO MARINONE (CO)

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