Slow Food e Salone del Gusto 2014

slow food

Torino, c’era una volta oppure c’era una volta Torino. Una terra di conquista, un luogo dove l’imprenditoria contemporanea del minimalismo gastronomico ha fondato il proprio impero di saperi congestionati da anni di subordinazione. Finalmente il piemontese ha potuto rialzare il bavero, mettendosi sulla mappa di una rivoluzione morale, estetica e cultuale, trasfondendo quell’immagine dell’artigianato, sempre legata nel tempo alla sua riproducibilità tecnica, all’interno di un principio idolatrico, distante tanto dal bisogno quanto dal nutrimento, e portandola vieppiù verso un’autenticità ed un’origine molto al di là degli spaghetti, del prodotto tipico, della pizza e del mangiar bene. C’è stata una “cortocircuitazione” tra arte /riproducibilità e artigianato/originalità. Benjamin è stato preso dalla teoretica piemontese e di nuovo rimesso in circolo. Così, gli anni ’90 sono stati quel tempo in cui il “mondo” ha cominciato ad accorgersi della biodiversità, dei prodotti diversi, dei produttori eroici e delle resistenze all’omologazione.

I produttori hanno cominciato a sentirsi difesi e a sentirsi presidiati, hanno visto crescere un interesse di cuochi e cultori attorno alle loro esperienze, al loro lavoro e alle loro difficoltà. Hanno visto crescere una componente politica inaspettata e mai sperata. Qualcuno gli ha dato una voce, qualcuno ha messo sulla mappa dei prodotti tipici la peculiarità di un volto. Così si è andato avanti per anni, l’entusiasmo non aveva ancora mostrato il fianco all’ingerenza, a quella ricerca del potere che non è necessariamente imposizione. L’insidia è rimasta latente sotto anni di ricerche di sponsorizzazioni, di nascita di condotte e di nascita di presidi, di rimandi a produttori che si sono creati una mitologia e un mercato, saturando le possibilità a quegli altri arrivati troppo tardi (questo è il peggio del peggio). Perché un presidio deve parlare di passato e deve necessariamente guardare al futuro (cercando di portare nuovi produttori a saperi antichi), a quell’opportunità di vita che della solitudine deve provare a farne a meno. Asceti e mistici hanno sempre avuto valli senza nome e senza storie da condividere.

Con Slow Food si è cominciato a mettere in comune un sapere e a mettere in comune un sapore, l’artigiano, semplicemente e senza perifrasi umanistiche-letterarie-onanistiche-parassitarie, si è sentito meno solo. Così, un movimento intellettuale è diventato un movimento umanitario, un movimento rurale, un movimento politico, un movimento etico, un movimento urbano ma soprattutto un movimento, qualcosa che avesse una leadership ben definita nell’Innominabile ma senza una struttura castale.

Poi si è seduto, i presidi hanno smesso di salvare e le persone, in mezzo alla gente, si sono sentite più sole. Le condotte hanno preso una piega indefinibile (a causa della purezza del mio animo lascio perdere…), i presidi sono diventati sussidi, i politici hanno cominciato a puzzare e gli artigiani hanno dovuto iniziare a contribuire per un posto al sole, per dimostrare, per esserci, per partecipare. Ma molti non ci sono stati e hanno deciso che quei soldi per il Salone del Gusto non potevano permetterseli (chiaro l’elenco comprende anche chi è stato a casa per troppo stress o per noia atavica…!!!!): Bella di Garbagna, Burro a latte crudo dell’alto Elvo, Cappone di Morozzo, Cevrin di Coazze, Coniglio Grigio di Carmagnola, Galline bianche e bionde, Mustardela delle Valli Valdesi, Paste di Meliga, Robiola di Roccaverano, Saras del Fen, Testa in cassetta di Gavi, Tuma di pecora delle Langhe, Albicocca di Valleggia, Asparago di Albenga, Castagna di Calizzano, Fagioli di Badalucco, Gallo della Val di Vara, Razza Cabannina, Sciroppo di Rose, Carpione del Lago di Garda, Fatulì della Val Saviore, Grano saraceno della Valtellina, Missoltino del Lago di Como, Razza Varzese, Sardina del lago d’Iseo, Tirot di Felonica, Violino di capra della Valchiavenna, Botiro di Malga, Broccolo di Torbole, Ciuighe del Banale, Formaggio di Malga del Lagorai, Agnello Alpagota, Antico Orzo delle valli bellunesi, Asiago stravecchio, Carciofo di Sant’Erasmo, Fagiolo giàlet, Pero misso, Anguilla di Comacchio, Raviggiolo, Salmerino del Corno alle Scale, Spalla Cruda, Fagiolo di Sorana, Mortadella di Prato, Pecorino della Montagna Pistoiese, Razza Maremmana, Mosciolo di Portonovo, Chiacchietegli di Priverno, Susianella di Viterbo, Tellina del litorale romano, Signora di Conca Casale, Alici di Menaica, Carciofo violetto di Castellammare, Coniglio da Fossa di Ischia, Oliva salella, Salsiccia rossa di Castelpoto, Carote di Polignano, Fava di Carpino, Pecora altamurana, Capicollo azze anca grecanico, Casizolu, Pecorino di Osilo, Razza sardo Modicana, Alaccia Salata di Lampedusa, Asino Ragusano, Capra Girgentana, Cavolo Trunzo di Aci, Cuddriredda di Delia, Fava larga di Leonforte, Fragolina di Ribera, Lenticchia di Villalba, Maiorchino, Mandorla di Noto, Manna delle Madonie, Masculina da magghia, Oliva Minuta, Piacentinu ennese, Pomodoro siccagno, Provola delle Madonie, Razza Modicana, Sale di Trapani, Susine di Monreale………….

………………..in compenso c’erano Citterio, Autogrill, Forst, Agugiaro, Loison, Loacker ecc…

… altre parole non servono a molto…

massimiliano

e’ vero, slòw food e’ diventata una macchina da soldi, Petrini & Farinetti sono falsi come una banconota da tre euro

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