Sogni e progetti di un macellaio gastronomo… Alberto Mosca

mosca

Biella. Una strada che taglia e una piccola città che gli ruota attorno. La borghesia avviluppa il centro e di quel distretto industriale, che ha sempre goduto delle seconde case e del sabato libero come raggiungimento di uno status elettivo, rimane la voglia iconografica di filanda. Qui il tessile, il settore laniero su tutti, ha cortocircuitato l’intellettuale, comprandolo e rendendo tutto fruibile. L’economia è stata quella forma di cultura che ha tirato fuori le possibilità e il pensiero unico. La borghesia subalpina ha rallentato i ritmi, non ha permesso lo sviluppo del tempo e della rivoluzione. E una volta morente, ha continuato a sonnecchiare nella risata e nel dileggio. Perché questa è veramente un’enclave di stile e di scarpe basse, nonostante il secolo. E così, arrivare a Biella, attiene al grigiore di ogni giorno e al riguardo verso la suggestione, quella da deferenza, da sogno mancato e da Principe di Galles accarezzato appena sotto l’orecchio. Il conservatorismo è dietro l’angolo e l’abitudine ha provato ad essere deflagrata dalla grande distribuzione organizzata con risultati alterni. L’Esselunga fa capolino dietro i portici, ci si entra ma sempre con sospetto. Perché la svendita non è più appartenenza. E così può resistere, nel suo mondo semi-monopolistico, il paradigma di quelle gastronomie italiane che hanno traguardato l’oggi, decostruendo la guerra, colorando gli anni ’60 e rampando negli ottanta: la gastronomia Mosca, un Bon Marchè ai tempi di Rossi e Grassi, con quello straordinario artigianato, base per qualunque vendita.

Un secolo di storia l’anno prossimo e quattro generazioni di macellai che son diventati gastronomi senza mai perdere quella vicinanza con gli allevamenti che gli ha permesso di arrivare fino ad oggi. Un solo e imprescindibile dogma: esclusivamente carni di Piemontese. Con uno studio, una cura, una raffinatezza e un terroir inimmaginabili fuori di qui. Un tempo economico che ha ridato tempo e rimesso in circolo la quotidianità di decine di persone che ruotano intorno a Giovanni e a suo figlio Alberto. Perché l’anima di un boccone cucinato, dalle fu casalinghe biellesi, deve partire dal basso, dal letame, dalle notti insonni e da metodi di allevamento che se non fossero stati assecondati da un mecenatismo gastronomico ravveduto sarebbero morti al tempo dell’aspic.

E così Giovanni, Alberto e Ivan (il cognato di Alberto) stanno provando a rendere fruibile una gastronomia dove boiserie, lampadari in cristallo, vetrine alte, scelte azzimate e oltre 40 metri di banco, siano il segno rappresentativo di una sostenibilità destinata a rimanere piuttosto che un riflesso di un tempo sepolto dove le botteghe avevano il profumo di bucato. E così in quei 400 metri quadrati c’è tutto lo scibile gastronomico degli ultimi 60 anni di ricerca italica. Dalle réclame grossolane ma assolutamente immarcescibili a quella nicchia ragionata che non è mai fine a se stessa. Quello che entra, esce. Sempre. Gli sprechi sono l’osso, nonostante l’impossibilità di un conteggio delle referenze. Ma c’è di più, molto di più…

I Mosca sono selezionatori, macellatori e macellai. Giovanni è l’eminenza grigia degli allevamenti canavesani, astigiani e biellesi. Non c’è stalla che lui non conosca. Perché ai tempi del fallimento dell’ultimo macello pubblico, hanno dovuto fare una scelta, rilevando una struttura appena fuori città per farne un macello di proprietà. Tutte le loro bestie passano di lì. Nessuna esclusa. La conoscenza, taglio per taglio, è l’unica strada per non farsi fregare e per non rimaner fregato.

Alberto , anima sartorialmente raffinata, timida e rispettosa, ha la cadenza di chi non può fermarsi al lavoro nonostante il lavoro stesso. E così ha girato, ha viaggiato, ha scoperto e ha parametrato. Il risultato: tutto deve partire dalla Piemontese e ritornare alla Piemontese, in quegli allevamenti, in quel macello, in quelle stanze di frollatura (non esagerata, difficilmente sopra i venti giorni, anche per il castrato) e in quel laboratorio dietro la gastronomia, labirintico, anacronistico e assolutamente unico. Per dimensioni, funzionalità e persone in azione.

Gli allevamenti sono dislocati in vari province e ognuno ha la propria funzione. Dal bue grasso allevato maniacalmente da Gianpaolo Guastavigna a Bergamasco, dove gli animali vengono castrati, portati oltre i quattro anni, con un lungo finissaggio e un numero di denti che non può mai prescindere dalla contezza della verità, al castrato di fassone nell’astigiano, resa eccezionale (tra il 60% e l’80%), tutto muscoli, massiccio, gambe corte, muscoli possenti e culoni strutturati, fino ai vitelli sanati dell’alto Canavese, dove il tempo e la scrittura mi porterà altrove per un viaggio assolutamente straordinario…

Ad Alberto e Giovanni basta la vista per accorgersi di quali stalle e di quali allevatori siano funzionali alla loro eccellenza, a quella stalla di sosta e a quel macello dove ogni settimana bovini e suini vengono accompagnati in una filiera di qualità rarefatta, dove pochi macellai possono ancora permettersi il respiro. Perché i tagli di anteriore mantengono una qualità rara, così come i muscoli, la carne cruda e i pregiati tagli posteriori. Le lunghe cotture ingrassano più che disperdere e il glutammato dà un sapore mellifluo al tutto. Prescindendo assolutamente dal profumo unico del vitello da latte che è un mondo a se stante, che sprigiona nitori e consistenze realmente da palato, ma di quel palato che non è costrizione moderna da degustazione a tutti i costi ma passato, lavoro e cura maniacale.

Ecco che cos’è una saga familiare, geograficamente indissolubile dal suo luogo d’elezione. Perché il produttore è sempre un umanesimo localizzato e localizzabile dove il territorio può essere un bagaglio, un inferno o un’opportunità. Alberto Mosca, come espressione finale delle sue generazioni, è anacronisticamente alla moda del tempo che fu e per ciò attuale. E così deve essere…

 

GASTRONOMIA MOSCA

VIA SAN FILIPPO 16

BIELLA

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