Parabiago. Il paradiso della calzatura. Un paese determinato dalla sua posizione geografica e basta. Aziende e mulini hanno incrociato le loro produzioni. I canali hanno portato linfa prima e dopo la guerra. Gli artigiani si sono trasformati in imprenditori o in operai. Quella zona di frontiera a nord di Milano ha influito sul benestare delle persone che entravano dal capoluogo e che uscivano dal capoluogo. Parabiago ha qualche bottega inaspettata (pasta fresca e salumi), le solite chiese richiama pasticcini, i tipici bar da gazzetta e bianchino, e le aziende calzaturiere. L’hinterland è una missione, soprattutto per chi decide di resistere, soprattutto per chi ha vissuto l’adolescenza negli anni ’90, ha chiuso le discoteche, ha distrutto le manifestazioni, ha bigiato le lezioni, ha preso la scuola come l’ultimo degli obblighi e si è divertito talmente tanto da trasformare la morte in una passione: il prestinaio di una volta, il panettiere fino all’avvento del 2.0 e il panificatore, lievitista contemporaneo.
Matteo Cunsolo ha 33 anni, più della metà passati dentro un forno. Così le notti sono diventate tecnica, la tecnica un abbozzo di studio, lo studio una passione e la passione non ha ancora del tutto fermentato. Le materie prime hanno una forza e una lavorabilità ma mancano di un sapore. L’acido lattico è ancora glucosio.
Richemont deve spiegarmi un po’ di cose. Piloti senza macchine. Ma in altre sedi e in altri tempi. Quello che resta è fortunatamente una storia.
Matteo i giudizi se li è fatti girando, frequentando i panifici, sentendo storie, mantenendo stime e vincendo concorsi. Quando parla, vorrebbe dire di più ma si trattiene per necessità. Quello che vede in giro, dai mulini che si cambiano l’abito da industriale ad artigianale, ai lottatori per le medaglie, fino ai suoi colleghi prestati alla marchetta, gli fa portare l’indice sul sorriso ma contemporaneamente non lo fa andare oltre, con un ritorno sui suoi metodi e sul suo interesse. Quello verso il pane e quello verso il dialogo. Risponde, chiedendo. Ecco la sua possibilità. Deve farsi vedere di più, raccontarsi al cliente attraverso l’assaggio. Sta soffrendo perché non può rifare il laboratorio, ha una clientela da prezzo imposto e, probabilmente, una materia prima l’ha spesso vista come tecnica e poco come etica. Il suo pane un po’ ne soffre ma le scelte sono figlie della crisi (o la crisi è figlia delle scelte?).
Economia agraria ed economia forestale sono due lati di uno stesso concetto: Cultura. Così come la farina e le mani. Quando uno dei due viene a mancare, si generano erosioni di senso e paradossi. Così Matteo deve riprendere in mano i suoi pani e il suo lievito perfetto (lavorato con cura, con quelle notti da panettone dormite sul pavimento del laboratorio e con il metodo appreso da Giorilli…), tenere i dolci che ha (il croissant è splendidamente bilanciato nei sapori e nella struttura), magari togliendogli l’aroma in eccesso (tipo l’armellina sulla ciliegia), e lavorare NECESSARIAMENTE sulle fragranze.
Il pane per lui sono le ciabatte, sono le baguette, sono tutte quelle tipologie ormai fuori moda. Ed è giusto così. Deve investire in qualcosa che non c’è più, per ritrovare qualcosa che non c’è mai stato. Una michetta con naso.
Anche perché il pane è lungo, confortante, perfettamente adattabile ai contesti. Il lievito madre lo struttura come una biga. Non lo lavora mai in purezza. Mette sempre una percentuale di birra. La maturazione è lenta, la baguette viene portata a 18 ore. L’idratazione è alta e il pane è aereo. La segale sarebbe molto profumata se non fosse per imbonitori della domenica, la pasta di riporto gli dà quella conservabilità digeribile che è già una scissione. Pane in cassetta, semi-integrali, farine raffinate, piccole pezzature, 400 grammi che sembrano il doppio, pizze panificatorie dalla friabilità stupefacente, sono l’estetica rappresentativa del mondo di mezzo, di quello che Matteo sa fare e sa trasformare. Far partire progetti, mettere a posto il lievito, capire l’identità tecnica di una farina, produrre in due quasi tre quintali di pane, sono l’emblema di un metodo di panificazione economico e reale.
La sur-realtà di Poilane è quell’attimo da cogliere senza distacco, quella trasformazione che il cliente deve percepire come continuità. Matteo ha una straordinaria artigianalità sensoriale, la sua passione si è trasformata dalla scelta più semplice (i corsi del Capac), attraverso una natalizia esposizione della possibilità e della bellezza dell’arte bianca, ad una necessità di fare pane, a qualcosa di connaturato e d’instabile, in cui qualche Maestro (il Busnelli della situazione) ha solo indicato la via. È per questo che ha bisogno di un altro innamoramento…
LA PANETTERIA DI CUNSOLO MATTEO
VIA S. ANTONIO 71
PARABIAGO (MI)