Teoretica e pratica delle uova… Martino Bargero

uova

Carbonate. Strada Statale 233 Varesina. In mezzo c’è tutto quello che è definibile come assenza di attenzione. Un susseguirsi di paesi senza nome e senza volto. Troppi semafori, qualche rotonda, case color kaki su due piani con garage incorporato e misteri borghesi da collane di perle, suicidi di massa e “aziendine” in liquidazione. Qui, anche prima della crisi, non c’era nulla che invitasse alla sosta. Ora gli striscioni della Fiom almeno fanno girare gli occhi. L’alta pianura lombarda è un luogo che impone: o la fuga o l’abisso. Così mi preparo a seguire il navigatore, girando agli stop, guardando villette e aspettandomi uno spiazzo verde, un po’ di Eternit, una recinzione raffazzonata e un contadino intabarrato dall’incomprensibile beatitudine. Il diradare del cemento e l’apparizione di un bosco, rinvigorisce il mio pallore. È il Parco Pineta, un infingimento dove aspettarsi una famigliola hippie. Negozio di prodotti biologici. Solo biologici. Qualche cliente asciugato dalla salute e un incontro che dell’inaspettato si è portato dietro tutte le devianze.

Martino Bargero è un agronomo-contadino con una madre finlandese e un padre medico antroposofo. Nell’immaginazione di una lettura affrettata, la migliore realizzazione di una comune pre-logica dove s’impastano le farine con i piedi. Niente di più sbagliato. La biodinamica è stata un oggetto di studio e di approssimazione, l’agricoltura necessitava di scientificità e non di corna bovine. L’artigiano non è più folklore e nemmeno rievocazione storica. Martino lo ha capito da subito. Si è laureato in agraria e ha vissuto quegli anni ’80 dove il biologico era il desiderio di pochi e la necessità di nessuno. Pochi negozi a Milano e concorrenza inscalfibile. Le verdure non bastavano a se stesse. Ci voleva la novità. Qualche gallina caratteristica, intanto, iniziava a dare qualche uova di valore. Ecco il grimaldello. Il pensiero economico è stato il traino per l’avicoltura. Nessuna razza prediletta, nessuna ricerca arcaica per le razze dimenticate. Martino aveva l’esigenza di fare bene il proprio il lavoro. I genotipi sono importanti così come le banche del seme. Servono come traccia e come studio. Le livornesi di oggi, quelle dell’uovo bianco in tutti i supermercati, non sono le stesse che sguazzano libere nelle aie dei vecchietti a Bolgari, ma sono Leghorn incrociate e migliorate per arrivare a produrre 250-300 uova all’anno.

Oltre vent’anni e un lavoro sulla bellezza e sulla grandezza. Otto ettari di terreno di cui cinque piantati ad orto, una cascina, un probabile futuro agriturismo per i recalcitranti figli e un allevamento di ovaiole in biologico che hanno una definizione molto oltre il suo reale valore. Possibilità di stare all’aperto del tutto simile all’allevamento a terra e mangimi controllati a cui sono stati eliminati derivati animali, coloranti e prodotti di sintesi. Oltre cinquemila galline e oltre tremila uova al giorno. Senza clamore e senza proclami sull’alimentazione a latte di capra. Anche perché il siero, una volta, faceva parte dell’alimentazione delle sue galline. Nella naturalità di un dovere al benessere.

Per questo, le domande sulla diversità organolettica delle sue uova lo lasciano freddo. Non esistono alchimie ermetiche, non esistono carotenoidi sintetizzati dal mais e neppure cantaxantina rossa addizionata come pigmentante (eppure anche le uova in eccesso di Bargero vanno ad ingrassare il mondo dei prodotti pastorizzati per pasticceria). La diversità del suo prodotto è dato da tre passaggi: l’alimentazione, agli albori bilanciata personalmente, ora approvvigionata ai mangimifici biologici, la divisione per gruppi all’interno dei differenti capannoni, dove tutte le nidiate devono seguire pedissequamente uno sviluppo di alimentazione nel corso del tempo, la freschezza delle uova. Ecco dove la sua azienda pone il dogma della differenza. Nessuna spedizione che non si possa fare con i propri camion, partenza della merce entro il secondo giorno dalla deposizione e disinteresse totale verso la normativa che prevede l’esposizione alla vendita della data d’imballaggio, mediamente tra i tre e i sei giorni dopo.

Il prodotto, chiaramente fresco, rapsodicamente mischiato nelle confezioni a sei e intrecciato tra il rosa antico e il bianco, è perfetto. Il tuorlo della livornese (ma anche delle classiche rossicce) è anemico rispetto al beta-carotene dell’Aia + a cui ormai attingiamo assuefatti, l’albume è denso e addensante. La carbonara è un velluto. Ecco la contestualità di un prodotto, la perfetta sintesi di quello che non deve lasciare, retrogusti, e quello che deve mantenere, un rivestimento per lo spaghetto. Tutto qui, non c’è aria da incorporare, non ci sono retrogusti di mandorla e densità miracolose.

È quel che resta, quello che non si vede, quello che aspetta la primavera per l’espressione, a tenere gli occhi di Martino sempre fissi sul suo sorriso finlandese. Verze, patate, cicoria, fragole, carote, cavoli, finocchi, pomodori (per cui la ricerca sulla qualità dell’ibridazione del seme e sulle sue caratteristiche organolettiche del prodotto finale valgono molto di più dei soldi investiti) e tutto quello che l’orto può e riesce a dare. Quella combinazione di benessere che trasforma la durezza comunicativa di non dare nulla per scontato, soprattutto quando si parla di terra, in empatia che non può sottrarsi all’ideologia e alla montatura contemporanea. Quelle che triturano, tirano fuori di casa e fanno pensare che esiste una necessità di esistenza anche lì. Tra la concorrenza. Senza hip-sterismi e senza isterismi. Quegli occhi, che non hanno mai smesso di sorridere, hanno avuto il tempo per rilassarsi, rassegnarsi e almanaccare. Abbandonata l’indagine, hanno cominciato a raccontare un’azienda che della BONTA’ dovrebbe fare il suo unico e originario vessillo…

 

CASCINA BARGERO

VIA MONETA 54

CARBONATE (CO)

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