Toma dell’Ourty: i mestieri oltre l’alpeggio… Marco Vuillermoz

Tra Champorcher (la Vallée de l’Alleigne), Hône e Montjovet. Bassa Valle d’Aosta. Tra un forte e alcune case appoggiate alle rupi, partono valloni chiusi su parchi naturali, confini dimezzati ed attività estive/invernali che non possono fare a meno di includere il turista. Qui c’è sempre il rischio che lo smaccato prenda il sopravvento, che il tempo e il denaro combacino alla perfezione andando ad intaccare l’autentico. La caccia al formaggio, da queste parti, è un viso assolato che sposta il coltello dei malgari. E così, seguendo la Dora Baltea nelle sue anse e nel suo schermirsi dai nemici, si segue la storia di agricoltori e allevatori che qui della Fontina hanno dovuto fare a meno, perché in valli più oscure, dedicate ad altro, in una montagna dove le logiche delle tome e dei formaggi semigrassi, con le implicite sfide all’indigenza, non possono e non devono passare sotto traccia. Le tome della Valle d’Aosta hanno ancora l’attitudine della storia e Marco Vuillermoz è uno di quegli interpreti perfetti per decriptare limiti e prospettive di un’intera regione.

Quella della sua famiglia è una storia diversa, le vacche rimangono sì nella tradizione dei nonni – poche e più affini alla sussistenza che alla vendita -, ma i genitori facevano altro e continuano a fare altro. Poi una ventina d’anni fa l’opportunità di creare una società agricola con qualche amico e l’onere/onore di rimettere a nuovo un paio di alpeggi nel vallone dell’Alleigne sotto il lago Miserin. Uno di questi è eponimo della società e della toma: Ourty.

Insieme ad un casaro della Val Chiusella, Marco, solo d’estate, porta avanti la produzione del formaggio e del burro. Una ventina di vacche valdostane in lattazione, erba e fieno per quasi tutta l’estate, un semigrasso d’alpe, una mungitura intera e l’altra scremata, nessun fermento, rottura della cagliata per mantenerla morbida, semi-cottura a 42 gradi, spurgo e salatura. Lattica ed erbacea, non ha bisogno di troppo tempo, è una toma sapida, profonda e poca elastica. Estremamente raffinata. Le forme stagionano in altura un paio di mesi (viene quasi venduta tutta in alpeggio), qualcosa lo stagiona Stefano Lunardi, il resto non c’è. Lì non arrivano mezzi e così i formaggi devono essere portati avanti e indietro nello zaino. La toma dell’Ourty supera raramente il kilo.

D’inverno la famiglia Vuillermoz si occupa di vendere mangimi a quasi tutte le aziende della Valle, gestisce un emporio agricolo a Montjovet e munge le vacche per conferire al caseificio. Marco sostanzialmente conosce tutte le trame, i folli che alpeggiano a 3000 metri, quelli che non usano fermenti, quelli dei carri miscelatori e quelli degli elicotteri. La Fontina non è di queste strade ma è di queste storie. Schietto ed esplicito, fare il mestiere dell’allevatore e dell’alpeggiatore, passare tre/quattro mesi immersi in un tempo compresso, senza lo scorrere e le comodità, non è una scelta casuale o un momento d’illuminazione, attiene alla tradizione, all’abitudine, alla normalità. E Marco preferisce salire e scendere. Da dove si lascia la macchina, ci sono quarantacinque minuti a piedi, lui ce ne può impiegare quindici. Per sovrammercato è anche un trailer, corre su e giù per i valloni in quegli estremi che passano dalla contemplazione notturna dell’Ourty all’adrenalina sprigionata in un perdifiato di rocce e radici. È così che si riempie la montagna… forse salvandola, magari salvaguardandola, sicuramente tenendola in vita…

SOCIETA’ AGRICOLA OURTY

FRAZIONE VAGLY 7

CHAMPORCHER (AO)

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *