Torino. Pieno centro. Panificio Perino.
Rapsodia di gennaio su un panificatore che ha utilizzato le mani per costruire una fortificazione e una comunicazione. Tutto sotto la forma del dono.
Questo è Andrea Perino… in due frasi che, a meno di non averlo visto all’opera, non spiegano veramente nulla.
L’oculocentrismo mi spinge, per l’ennesima volta, a dare ragione ai miei sensi che dopo aver guardato, odorato, gustato, toccato e sentito, hanno ammesso la forza di una decisione.
L’artigiano deve mostrarsi per poter mettersi in mostra e trasmettere la potenza di una visione o di un pensiero che hanno l’unico limite nel convincimento degli altri.
Perchè se “tu sei sempre lì, sei il primo che si fa il culo, hai sempre una parola d’incoraggiamento e non fai mostrazione di grandezza o quant’altro, i tuoi dipendenti ti seguiranno e continueranno a farlo”. Ecco l’esempio. Ecco un ragazzo (sposato e con due figli) che, alla facilità (seguire il percorso intrapreso da suo padre attraverso l’alta serialità di Delper) ha preferito la tracotanza, sfidando così l’autorità costituita.
Prima la rabbia e poi la passione hanno portato fuori il suo mondo fatto di fiducia, umorismo netto, profonda vocazione e una “pancia” da fare provincia e forse regione.
In questo viaggio lo ha seguito la moglie Chiara. Quel poco che ho colto, nel breve periodo, è una relazione di sguardi che determinano il gesto. Tutto in quei laconici incroci che sanno di familiare e lontano…
I peli sulla lingua, Andrea li ha lasciati nella culla. La comunicazione si apre attraverso le mani e porta avanti le ammirazioni, le delusioni e gli odii. Quelle persone che preferirebbe scomparissero piuttosto che continuare ad inquinare quell’artigianato che ha bisogno di braccia e di cuore… Il suo universo diventa buio, poco rassicurante e ingombro di personaggi e frasi dal passato incerto, dalla cravatta arancione e dal macchinone posteggiato in cortile.
Lui si alza tutte le mattine alle quattro e finisce di lavorare alle otto di sera. Quest’idea di imprenditoria lascia da parte i pensieri, i debiti, le ansie, le fregature e il belletto, si alimenta nel lavoro e nelle soddisfazioni di chiamare le persone per nome, mettendoci la faccia e il prodotto. Il suo “luogo” è un emblema di modernità con caffetteria, un angolo per le sfiziosità e qualche tavolino. Ma, su tutto, all’ingresso, primeggia il pane. Le varie tipologie, le focacce, le pizze, i forni a legna in bella vista, i cesti, i sacchi di farina e il volto delle commesse che non hanno molto tempo per avere uno sguardo…
Mulino Sobrino: ecco una scelta determinata. Durante un mercatino, Andrea incontra un panificatore vercellese che le utilizza. Lui non le conosce ma il pane gli piace. Decide di iniziare una collaborazione. Con meno glutine di altre e quindi più complessa da lavorare. A bassa voce mi dice “io ne utilizzo altre, ci sono buoni Mulini, ma quella di Renzo è l’unica che non mi ha mai dato problemi. Non ho mai dovuto aggiungere alcun prodotto per rinforzarla…”.
Utilizzo della biga ma con una rara particolarità. Niente lievito di birra ma direttamente lievito madre. Zucchero, farina e acqua. “Il lievito è talmente vorace che si mangia tutto”. Poi mi adagio davanti al suo show. Rinfresco della madre per far sì che la domenica non abbia bisogno di ulteriori ritocchi. Proporzioni: 1 (lievito) a 5 (farina) con il 42 per cento, e spicci, di acqua (secondo il metodo Busnelli, suo maestro lievitista…). Mi spinge metaforicamente la testa nella pasta acida alla ricerca di un sapore. Rimango lì. Me la vorrei portare a casa. Perniciata, occhiature profonde e irregolari, color bianco di zinco, con sfumature crema. Rilascia un odore alcolico e lattico con lievi sfumature acide. Ha un aroma caldo. Mi annebbia.
“Che cosa ricerchi quando annusi?”, io.
“Che non sia acido”, lui.
Ecco la sua filosofia delle poche parole. L’acidità non è una caratteristica da ricercare. Né nel panettone, né nel pane. Ma la gente trova e crede. Lui mantiene lontano. Preferisce la dolcezza e la fragranza. E poi inizia a legare il lievito. Teli di lino e braccia. Corde a stringere un prodotto che s’inacidisce molto più lentamente che al contatto con l’aria.
Sarebbero bastati gli occhi ad imprimere una direzione. Invece, ci sono le mani ruvide e poetiche, le braccia e la pancia, che conduce sull’orlo delle lacrime. Quelle che non versa per non essere frainteso e quelle che tiene lì a stretto contatto tra la rabbia e la passione. La sua forza di espressione, tra il grand guignol e l’intagliatore Steiner, è molto oltre il teatro, ha trovato un’origine e uno sfogo. Forse la giustizia, forse la verità.
Presa visione, mi allontano attratto da un sacco pieno di polvere nera non del tutto sbriciolata. Chiedo. “E’ un lievito naturale di segale”. Lo prendo e lo annuso. Una delle grandi, e forse inutili, domande della mia esistenza, ha avuto la risposta. Ecco cos’era (o a cosa assomigliava) quell’odore di catoio e umidità nelle vecchie case di paese siciliane che riportavano l’idea di povertà e di calore. Un mondo di ricordi in un granello di polvere…
Gli assaggi me li porto a casa (tranne la focaccia imbottita) dove mi rilasso e mi concedo:
– focaccia ligure (ma in Liguria, parole sue, non la sa fare più nessuno…): è semplice, ma rispecchia la fantasia del suo creatore. Non accompagna nulla ma è accompagnata da. Sottile differenza non di significato ma d’immagine creata.
Una donna a passeggio…
– focaccia con stracchino: eccezionale. Bassa e controllata. Rimane umida senza impregnarsi e, soprattutto senza spezzarsi. Manca dell’amaro di un prodotto misconosciuto ma riceve la robustezza dalla farina che attornia il formaggio e lo ridà alla sua naturalità. Dolce e brulée…
– pane di farro: colore beige tendente al marrone. Bucato al centro. Armonizzato a salumi e formaggi si adagia sul classico sapore neutro, senza l’invadenza della crusca, con la leggerezza di un gusto molto soave. Lasciato a se stesso rilascia un sapore che va oltre tutte le considerazioni sulla consistenza (che non amo particolarmente). Andrea ha trovato la via per una miscela aromatica (con più sapore e meno odore). Nuovo e indefinito. Noce più bosco. Unico.
– pane noci, cannella e miele: lo assaggio con la crema +55 di Guido Castagna. Eravamo in quattro a tavola con tanti racconti da iniziare… Silenzio, buio e neve. Ognuno ha mosso occhi e bocca, senza fiatare. Ma la testa girava e credo abbia continuato per tutta notte. Il gusto ha trovato una vetta. La cannella ha mostrato i muscoli concedendo un unico valzer alla nocciola che intanto ridefiniva il concetto di formidabile. Perplesso.
– pane farina tipo due mulino Sobrino: ma qui sono vulnerabile. Appena vedo il grigio della molica tendo a non capire più nulla. I meriti sono da dividere e anche i miei demeriti di recensore. Ensemble definitivo.
Poi c’è il pane al monococco (che sfortunatamente non riesco ad assaggiare) e altre svariate tipologie. Ma l’idea ha già preso la macchina e imboccato l’autostrada in direzione “Nessun luogo”. L’unico che potrebbe contenere la fantasia di questo giovane fornaio dagli occhi pervinca…
BENTORNATI ALLA TRADIZIONE DI ANDREA PERINO
VIA CAVOUR, 10
TORINO (TO)