Oltressenda Alta. Comune sparso. Un solo obbligo: il passaggio da Villa d’Ogna. La Val Seriana si fa natura ma non dimentica la sua vocazione. Così la Festi Rasini, azienda manifatturiera, ruba la scena a qualunque implosione emotiva. Non ci sono fili d’erba e nemmeno torrenti. C’è solo un complemento d’arredo chiamato bosco. Così le ciminiere, i mattoni refrattari, i tetti a shed, i colori bruciati, i vetri rotti, il cemento da minestrina serale, tolgono la nebbia industriale, mantenendo intatto il proprio monumento. Rimanere sarebbe un vile espatrio, così sono costretto a rimirare tutto dall’alto, dove la natura è stata costretta a ritornare natura.
Oltressenda è composta dalle sue frazioni, da qualche curva e da qualche chiesa. Quello che resta è formato da qualche alpeggio, monticato in estate, e da un complesso di case in pietra. Quando la strada asfaltata lascia il passo ad una mulattiera, Giacomo Perletti, il mio fine molto oltre l’archeologia industriale, ci recupera portandoci a destinazione.
Contrada Bricconi è quel luogo che il comune ha lasciato a disposizione. Giacomo l’ha rimessa in sesto, all’inizio accompagnato da un suo compagno dell’università di agraria, in seguito da solo. Tre pensionati, amici di famiglia, gli hanno letteralmente dato una mano. A ricostruire, a rendere bello, a rendere produttivo.
Quattro vacche grigio alpine (una rarità in Lombardia), due tipi di formaggio, qualche prova e qualche errore, una straordinaria miscellanea tra pietra e legno per rimettere a nuovo la stalla e casa sua, due piani dove vivere in solitudine (con qualche vicino, vacanziere, allevatore di razza Highland…), e un vigneto a 950 metri, dove provare a fare vino di montagna, sua passione nascosta e possibilità d’impresa senza compromessi.
Ventisette anni e una scelta talmente ponderata da risultare matura. Non è la fuga dal mondo, non è la ricerca di hipsterismo e nemmeno l’idilliaco agreste dove far crescere i propri bambini con la foglia di fico mutandata e i capelli scarmigliati da doccia sotto la pioggia. La mitologia del buon selvaggio è un’eco così lontana da non dare nemmeno un brivido. Al mio arrivo, oltre a Giacomo e al suo vicino di casa, ancora più giovane, che armeggia con un trattore, ci sono tre inarrivabili personaggi: tre bergamini che dalla provincia di Brescia sono passati per il paese natale a vedere se il muro è ancora al proprio posto. Dialetto lancinante, allevatori della bassa nell’animo, bresciani per adozione dopo una transumanza diventata sedentarietà e dopo che le vacche sono diventate aziende agricole con diversi acri di terreno da dedicare al conferimento ai caseifici sociali del Grana Padano, cercatori di formaggi per passione, hanno scandagliato tutte le valli e sono stati scandagliati dalla mia deferenza. Così i ruoli si sono ribaltati nel meno classico de “Ah i giovani di oggi!!!” (giovani??).
Giacomo prende spunti senza mai un cenno di fretta. Interazione e integrazione. Il suo presente e il suo futuro. La sua tesi sul recupero di Contrada Bricconi andrà ad intersecarsi con quella di tre ragazze del Politecnico che hanno studiato come disporre una piccola stalla e un piccolo caseificio da bilanciare ad un paesaggio che non dà spazio a calcoli utilitaristici.
Così la casera di adesso sarà un pezzo di storia da gita domenicale. Un peccato gastronomico da retaggio incontrollato. Pietra, volte, caldere in rame, fuoco diretto, formaggi a spurgare, assi in legno e formaggi a stagionare. Le due tipologie diventano quattro: stracchino, formaggella, formaggio da stagionare e formaggio da distrazione.
Lo stracchino ha la forma dello stracchino e la cremosità del taleggio. Il suo maestro, un allevatore locale, che ha un nome ma non nella mia memoria, gli ha fatto cambiare le temperature di cottura, rispetto all’ortodossia. Il formaggio cambia la struttura e in parte i sapori. L’acidità è temperata così come la dolcezza. Nessuna occhiatura, a dispetto del suo collega brembano, e il gusto rimane straordinario. È come se fosse più pieno, una punta di asprezza, naso estremamente lattico, pasta poco gessosa, retrogusti e unghia particolarmente accentuati verso l’amaro. Giacomo è un cercatore, dal troppo caglio allo spurgo del siero fino ai tempi e alle temperature, è alla ricerca del giudizio della gente per mettere a punto il “suo” prodotto. Così la sua soddisfazione è appena accennata. La formaggella è un altro prodotto. Manca di elasticità e di sapori plasticati, è un formaggio da medio affinamento. I tre mesi odierni hanno quella mancanza di definizione che può sfociare in un capolavoro. Il formaggio non chiude in bocca, ha una pasta semi-asciutta, una punta di acidità e una punta di vaghezza. È pulitissimo, fresco, poca erba e ancora meno fieno, è controllato, forse troppo. Sono prodotti femminei quasi candidi. Le stagionature arriveranno (lui ha iniziato a fare formaggi seriamente da pochissimi mesi) e decideranno la sua strada. Per ora, una conversazione al cellulare durata troppo tempo lo ha portato a mettere in forma un cacio con una cagliata cotta troppo, per vedere pregi e difetti. Molto asciutto, forse troppo asciutto, acidità e amarezze eccessive, invaso da muffe esterne, è quell’errore che gli darà maggiore consapevolezza sulle sue doti.
Giacomo ha ricostruito i brandelli del sogno medio di chi almanacca la vita selvatica. Dopo la visione di Into the Wild (una maialata per inciso), anni fa, ricevetti un sms che recitava così “dopo aver visto il film, mi è venuta voglia di mettermi lo zaino in spalla e di partire per la Val Brembana”. Il faceto che mi fece fare comparazioni tra Clusone ed Anchorage, con grasse risate e sberleffi verso terre consuete, Giacomo l’ha trasformato in un progetto talmente serio da risultare affascinante. Ha tolto il giovanilismo da barba incolta per realizzare quello che un ragazzo è ormai capace di sognare solo con un ostello a disposizione e una mucca da poter fotografare mentre caca dall’alto. La ribellione si è trasformata in un bagliore di rivoluzione. Non ci sono più padroni ma solo arbitri…
CONTRADA BRICCONI
OLTRESSENDA ALTA (BG)