Forno Ossolano: un labirintico laboratorio di montagna… Germano Meneghello

ossolano

Crodo. Terme, Crodino e punto di partenza per le valli del Bettelmatt, quella fontina locale che negli anni si è trasformata in leggenda e nei sapori amarognoli dell’erba mottolina. Qui le valli si diramano ma con leggiadria. La bellezza della fuga è la stessa che si ritrova nel rimanere, nel restare in attesa che qualcosa accada, che gli anni d’oro tornino a ruggire e che questi luoghi recuperino la sacralità del tempo che fu, quel tempo di confine che ha confuso gli idiomi e ha mischiato le tradizioni. Così ci sono vari motivi gastronomici per approdare a Crodo, è un luogo molto libero, dove la serenità non è nemmeno più una ricerca ma un abbandono, quasi una perdita dei sensi. Qui in mezzo, lavorare sul turista ha ancora quell’invidia locale che non porta nemmeno concorrenza. Così chi fa è costretto a fare bene. E Germano Meneghello, cognome veneto e passato proletario tra le rive dell’Adda e la valle, ha messo a fuoco tutti i punti che suo padre gli ha dato in eredità.

Il forno è lì a Crodo da cinquant’anni, in cui la fatica e le notti in panificio si sono trasformate in arguzia e gestione di tempi, persone e modi. Germano è un conoscitore del lievito e della sua materia ma conosce anche la volubilità di una clientela corriva ma assolutamente appassionata. Così, la prima regola è setacciare le materie prime, scendendo sì a qualche compromesso ma lavorando in sintonia con una contemporaneità antica. Così le farine macinate a pietra arrivano dal Molino Bongiovanni, il mais da Sobrino e le farine da battaglia dai mulini da battaglia pronti a soddisfare la voglia da battaglia, che non riusciremo mai a seppellire, di pane bianco, di fragranze quotidiane e di facilità all’informe sensoriale, quello che stabilizza tutto.

Germano ha lavorato sulla valle e per la valle. Ha rimesso in circolo ricette povere ormai scomparse, le ha brevettate e le ha rese famose. Ha preso gli avanzi di pasticceria trasformandoli in uno strudel scomposto e nascosto, ha attualizzato il pauperismo walser delle uvette, della frutta secca e dei fichi, creando dei pani scuri e oscuri, dove la ricetta è già bilanciamento: pane ossolano, pane con le noci e segale walser con pasta madre per rimettere in circolo l’attesa, il tempo, lo scarto e l’anima di quelle valli così legate ai forni a legna, al crescente, all’acidità dell’errore e dell’indigenza. Così i canovacci trasformisti han creato un panificio dalle anime decise e da quelle delicate, dalla vendita prima di tutto e dalle orecchie bene tese all’ascolto, alla critica e al complimento. Germano, insieme a sua moglie, ha messo in piedi una squadra di persone che non può prescindere dal passato e allo stesso tempo dalla tecnologia, quella messa a punto a la maison per cercare di standardizzare un lavoro che nell’artigianalità ha la sua cifra e i suoi limiti. I pani sono compiuti, magari senza azzardi, ma sono molto confidenziali, morbidi, particolarmente puliti e un po’ piacioni. Come è giusto che sia attualizzata la povertà dei camini. Il fascino del pane ossolano non morirà mai e troverà sempre più amanuensi a copiare il dettato.

Germano è vulcanico e lo si vede dai prodotti in vetrina, materie prime buone, pulizia soprattutto sui dolci, pasta sfoglia ben sfogliata, fragrante, con i profumi del burro al proprio posto, pasta frolla che può ridare indietro di più, sapori a posto e poca friabilità. Il lavoro sul lievito è fuori stagione e così posso immaginare. Non capisco bene la gestione e i rinfreschi. Ci sono tempi e modi più legati alla tradizione di una biga con una lunga autolisi che un’impalcatura talebana attorno al lievito madre. Alla fine mantenere la qualità all’interno della quantità è l’impresa dei Meneghello.

Germano è una persona appassionata, viene da un passato refrattario e non ha intenzione di mollare. Continua ad investire e a crescere. Ha bisogno e desidera i confronti. Non si sente arrivato nonostante (credo) possa fregiarsi di un’economicità migliore di molti pionieri e della maggior parte dei forni metropolitani. Portare in questi luoghi quest’imprenditoria artigiana è una questione di progetto. O è molto solido o rimani da solo con la tua maglietta bianca da prestinaio. Certo, magari la poesia della fuliggine e del forno a legna la rilegge quella volta all’anno in cui restaurano quello paesano per fare una composizione di mais e frumento povero… il resto è praticità e interesse: rotor e forni statici. Ma il pane è buono, i dolci sono buoni… non serve molto altro… la cultura non è al servizio della comunicazione ma del palato. Forse perché non interessava il contrario, forse perché non siamo in una metropoli o forse perché appena metti il piede in strada ti senti sereno…

 

IL FORNO OSSOLANO

VIA MAGLIOGGIO 13

CRODO (VB)

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