Giovani allevatori senza troppi lasciti… Jodi Maccagno

maccagno

Trontano. Frazione Cosasca. Rettifilo di un fondo valle dove la vista periferica spazia verso la Val Vigezzo e verso i fiumi in pietra. Perché qui tutto è squarcio. Persa la nebulosità stretta, ricca e opprimente del Lago Maggiore, la Val d’Ossola si allarga a dismisura andando a prendere pianure fluviali, vigneti, rocce sovrastanti e montagne assolutamente al di là del turismo. Trontano è immerso in quel nonsense di passaggio che porta comunque fuori, che fa sembrare le montagne ancora montagne e la lontananza lontananza. Non c’è ingerenza. Ci sono tegole in beola e c’è un’immagine diluita di quello che la neve o le facce abbronzate dalla dissoluzione, poco più avanti, si sono portate via. In quelle valli dove la “Rolls-Royce” dei formaggi detta legge e dove le croste acarizzate sono sinonimo di rughe e facce antiche. La cultura Walser è un modo di attirare e le rimanenze sono sempre legate a qualcosa di umido, di irrorato, di grondante. Orridi, cascate, rivoli, fiumi, neve, piogge. Quello che resta è un desiderio di cibo che possa contestualizzare tutto. Così vengo attirato da una stalla nuova di zecca e da una storia di gioventù e non di tradizione. Il paradosso di queste valli.

Ci impiego un po’ a capire dove cercare e cosa cercare, poi vengo attratto da pannelli di legno laccati ricoperti da un tetto. Delle mucche e due tipi disinteressati mi dicono che sono sulla strada giusta ma manca il padrone. Così torno indietro in mezzo alla melma e arrivo a casa Maccagno-Dellapiazza dove è rimasta la cantina di stagionatura.

Padre, madre, figlio e un po’ di confusione e di ricettività. Il padre è il leader dei guardiacaccia della valle e si è tenuto il suo lavoro, la madre Marina ha cominciato l’allevamento una ventina d’anni fa, senza una tradizione che non fosse quella del contadino con un paio di bestie, e Jodi, il figlio, sta portando avanti, insieme al crepuscolo genitoriale, un’azienda verso la modernità e verso un integralismo non sempre facile da rendere pubblico. Così, ogni estate, l’alpeggio sull’alpe Monscera, aspetta il suo gregge con una trentina di vacche per fare quella toma che non ha un nome se non inerente allo stesso alpeggio di produzione. Il resto lo fa il fondovalle, con i suoi richiami, la stalla nuova e la voglia di Jodi di proseguire questa strada, cercando, in futuro, di stabilizzare l’allevamento, attraverso migliorie genetiche, piuttosto che erbe paradigmatiche oltre i duemila metri di altezza. Marina si occupa della caseificazione, cercando la stabilità e trovando, in alcuni formaggi, le doti sue e quelle di suo figlio, appassionato viscerale delle sue vacche, dell’alimentazione e della possibilità di innovare. Fieno auto-prodotto, un po’ di integrazione proteica e quel trinciato di mais così difficile da eliminare completamente, soprattutto in questi climi piovosi e vetusti. Pezzate rosse, una Bruna Originale, una Brown Swiss, qualche Frisona e venti litri di latte al giorno pro capite. Mungitura automatica, caseificio lindo con rame e un paio/tre di formaggi in produzione. Bando al fresco, in assenza di un punto vendita, si lavora sui grassi sgrassati invernali e si stagionano i grassi d’alpe… – alpe Monscera scusate, la parola grasso è vittima da caccia alle streghe almeno da vent’anni, quando gli eversori della Fontina Valdostana in giacca a quadri e valigetta hanno costretto a trovare altri nomi per il formaggio prodotto in queste valli… – così latte crudo, cagliata in minuscoli grumi, semi-cottura della pasta a 42 gradi, fermento (speriamo in un futuro con meno stabilità…) e spurgatura danno vita a quei formaggi che quella cantina porta a risultati notevoli. Soprattutto sull’estivo, soprattutto al di là di una prevedibile salatura preventiva al palato. Molta erba, un po’ di aglio di montagna, burro, lattico e ancora molta erba. Il pascolo, ma anche il fieno (fragranze super…), consentono risultati eccellenti, solamente da tenere dentro i binari della caseificazione. Un po’ di sapido in meno e tutto torna.

Jodi guarda le sue bestie, le cura, le nutre addirittura troppo, garantisce con gli sguardi molto più che con le parole. L’allevamento è molto oltre una vocazione, lui continuerà questa strada fino a che non rimarrà più fieno, fino a che non lo porteranno via e non potrà più mettere alla prova il suo latte. Perché la strada della modernità non passa dalle critiche ricevute o da quelle da fare, la sua sicurezza, che può passare per sicumera, è una certezza di vecchiaia, una sur-maturazione che toglie i suoi vent’anni ridandogli indietro un po’ di barba e un po’ di innovazione, quella che manca in questi anfratti chiusi, in questi sguardi bassi, in queste invidie brumose che puzzano di naftalina e Frisone dalle mammelle sporche di merda. Avrà la libertà di sperimentare, di mettere in pratica quello imparato alla scuola agrotecnica, di mettersi alle spalle le “necessità” di fare il formaggio in un certo modo. Lo sguardo pedissequo è quello che logora la comunicabilità. Partire da lì per non farsi fregare sarebbe il migliore degli abbrivi…

 

AZIENDA AGRICOLA MARINA DELLAPIAZZA

VIA QUARATA, COSASCA

TRONTANO (VB)

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