Un panificatore è sopratutto le sue scelte… Flavio Borghi

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Guastalla. Bassa reggiana. Senza padri e senza principi. In un crocevia di mondi che è soprattutto fiumi e pascoli, coltivazioni sconfinate dove al lambrusco si sostituisce l’erba medica per ritornare zucca e angurie. Colori pastello, portici bassi, chiese e torri, una tipicità divisa e condivisa, dove il dialetto stranisce per essere un apolide in una terra di limite e superamento del limite. Paesi urbani e cittadini, dove uscire è un modo per passare un tempo più pieno ed entrare è già racconto di lavori, di personaggi e di tipicità, soprannomi e modi di fare. L’interazione sotto un portico è spesso decadente, resta da una parte il nascondimento e dall’altra la fuga. Il non essere sentiti, le voci basse e il tempo che trascorre sovrapporranno sempre segreti e piccole ingiurie. Ma un paese deve esser fatto anche di questo, altrimenti che paese sarebbe? E così a Guastalla si conoscono tutti ma non si conosce nessuno, si preferisce l’estraneo ma si rivaleggia con l’avversario. Il campanile è fondamento e critica, è misconoscenza e affetto. Così immagino Guastalla se ci fosse una teoria dell’immaginazione… ma qui c’è un uomo concreto e pragmatico, che del pane ha deciso di farne una scelta e una professione.

Flavio Borghi non viene da una famiglia di panificatori, ha studiato all’alberghiero, ha fatto esperienze in molti ristoranti di questo trivio territoriale, lentamente si è appassionato alla lievitazione e, una decina d’anni fa, ha deciso di aprire la sua prima bottega nel suo paese natale. Il lievito madre lo lavora tutti i giorni, un rinfresco solido che vada bene sia per il pane sia per i grandi lievitati. Pochi fronzoli e molta realtà. Il suo tempo è un tempo occupato dove recuperare antiche ricette e mettere in circolo una diramazione del pane che passa dalla pasta dura e dalle schiacciatine, per arrivare a lavori su cereali minori e su panibois. Lì, la sua idea di pane fitto, con poco sale e buona struttura raggiunge il paradigma del suo essere fornaio. Molto dopo le mode e molto prima degli alveoli.

Flavio ha trovato questa farina romagnola di grani teneri antichi, poco glutine e molti profumi. Lo sciapo si accompagna bene ai salumi, i pani non sono troppo lunghi e nemmeno troppo ricercati. Le farine vanno e vengono così come le fragranze. I lieviti sono nascosti e le acidità pressoché nulle. Le schiacciatine da conservazione sono interessanti così come le paste dure, poco idratate e assolutamente filologiche. Elemento d’eccellenza dei contadini, si declinava nel biscottato diventando colazione per generazioni e generazioni di lavoratori, così Flavio lo ripercorre senza esigenze, ristrutturandolo e rendendolo un pane contestuale, da riempire.

Manco i suoi lievitati, che sento solo raccontati, ma trovo i suoi lavori dolci, sbrisolone, biscotti, torte, ciambelle e brioche, perché il retaggio della merenda rimanga sempre la fantasia più dissoluta di questi luoghi, di quelle immagini a colori che non potranno mai cedere al tentativo della critica gastronomica. Qui si mangia bene, le discussioni di sistema sono riflessioni a spaccare il capello senza guardare la clientela, le sue tasche e i suoi volti.

Flavio Borghi è un panificatore viscerale con più di una convinzione. Fare domande e dare risposte è tutta una questione di circostanze e di espressioni… “la sorte non aiuta coloro che non aiutano se stessi”…

LA BUTEGA AD FRANTON

CORSO PRAMPOLINI 13/A

GUASTALLA (RE)

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