Un pasticciere al centro di tutto… Giuseppe Sparacello

cannolo

Castronovo di Sicilia. Paese. Tempi lunghi e dissolvenze in nero. Nessun desiderio di esistere, solo una necessità di rimanere che non porta da nessuna parte. Giovani seduti su sedie di plastica, un silenzio surreale e un po’ fastidioso, costruzioni in salita, macchine fuori tempo massimo, un anacronismo sincero di bisogni che per anni non hanno ritenuto necessario avere una bottega di pasticceria locale. Castronovo di Sicilia è l’unico paese, in mezzo ai Monti Sicani, a non avere un dolce tipico, una sagra che lo celebri e una possibilità di far ruotare un po’ d’eccellenza attorno a quattro uova e ad un kilogrammo di farina. C’è solo un modesto concorso per torte casalinghe che ai laboratori preferisce la televisione, la mitologia del prodotto firmato e quell’incoerenza del “fatto in casa” che zittisce tutti i dubbi e tutte le fragranze. Castronovo è la sembianza più attuale del luogo di conquista.

Giuseppe Sparacello non ha alle spalle una famiglia di pasticcieri, ha imparato a bottega a Torino, qualche corso in Cast Alimenti e nessun obbligo verso la tradizione della crema gialla. Suo padre aveva un biscottificio, ha chiuso il biscottificio e sono rimaste alcune ricette da attualizzare… i retaggi paesani da dolce forno e colazioni “Sparacello way”, in cui i bambini potevano mettere l’egida alle proprie carie, non sono di queste lande. Giuseppe si è trovato in mano un po’ di polvere e un po’ di vista. Da lì ha provato a creare un integralismo con poca patina.

“Portare i clienti”, quelli che andavano al forno e quelli che andavano in altri paesi. Il monito aveva quell’impossibilità stinta che non è nemmeno più una discussione. Giuseppe ha provato a portare una contemporaneità, le paste lievitate, l’assenza di conservazione, la scorza del cannolo acetato e fritto con i suoi tempi e con i suoi modi, e le mandorle acquisite dallo zio acquisito, smallate, sgusciate, pelate, raffinate e lavorate per fare le sue paste e i suoi frutti di Martorana, modellati con quelle imprecisioni che, in Sicilia, fanno tutta la differenza del mondo. Perché questa è una terra dove friggere è una rarità, dove macinare le proprie mandorle è una rarità, dove spremere limoni è una rarità, dove utilizzare il lievito madre è un’impossibilità, dove provare a fare una pasticceria siciliana che non abbia l’inclinazione alla fregatura è una rarità senza alcun senso, soprattutto qui, senza una comunicazione adeguata, senza una necessità reale di vendita.

Così, quando il cliente dalle poche domande e dalle certezze sepolte chiede “Crema gialla?”, la risposta è sempre “Dal fornaio!”. Un fantomatico cazzuolatore da amalgama addensata. Giuseppe arriva al dialogo attraverso la materia prima, quella che non può essere surrogata, quella che non può essere disattesa e quella che costa sempre quel qualcosa in più. Destrutturare attraverso il contenuto, parlare una lingua all’interno del linguaggio mantenendo le stesse forme… qui, è molto più rivoluzionario di qualsiasi scelta e di qualsiasi cioccolatino. A Giuseppe sono arrivati per la pralina con la tuma persa. È il tutto di una Sicilia che ha perso la propria discussione.

Granita al limone, cannolo, crema pasticcera con arancia candita, brioscia, panettone, frutta di Martorana, gelato, amaro alle erbe, biscotti. La base di una pasticceria tra innovazione e mantenimento, follie notturne, poche necessità, il desiderio di soddisfare una clientela da dirozzare, una qualità costante e poche cadute di stile. Una pasticceria che potrebbe stare altrove, che potrebbe insegnare il dolce, che trova il croccante della scorcia, senza l’obbligo della friabilità, che miscela zucchero e farina di mandorle sublimando la sua terra, che lievita le briosce con il tuppo e panettoni senza emulsionanti. Il tutto con una finezza da lacrima più che da applausi. Qui, tutto ciò non è nemmeno eroico, è qualcosa che non ha più un giudizio e non ha più un valore.

Giuseppe è, prima di tutto, fuori dall’ordinario di qualunque interesse clientelare-paesano che ha sempre portato il gusto degli altri a collimare con il proprio, verso un asservimento appiattito che ha lasciato per strada ombre di pasticcieri continentali dalla mousse facile o estrosi poeti barocchi da panteistica visione del dolce e da fregatura commerciale dietro l’angolo, appena il profumo-modella-lozione-dell’ultimo-capello ha preso l’odore della strada. La diffidenza non è la strada di Giuseppe. Straordinario prima come presidio che come presidio di qualità. Per un motivo, fuori e semplice: in questa Sicilia non c’era né una necessità né un reale bisogno. Per questo i suoi dolci hanno ancora quel profumo di resistenza senza prezzo e senza accoglienza. È tutto in quella piccola cavità all’interno della pera disegnata su quella Martorana che non ha retaggi nemmeno nelle case, nemmeno nei libri cenciosi delle monache dissidenti o delle orfanelle dallo scontrino già battuto. Che il crepuscolo non l’abbia a noia!

 

DOLCE TENTAZIONE

VIA PAPA GIOVANNI XXIII 13/17

CASTRONOVO DI SICILIA (PA)

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