Olio denocciolato in una Sicilia perduta… Giovanni Manzella

MANZELLA

Ventimiglia di Sicilia. Sopra la diga Rosamarina, campagne adornate e campagne poco adorne. La strada che parte da Trabia è una curva continua di profumi e alberi da frutto. Questa terra non è mai stata al centro di un’attenzione al di là degli incendi e degli arresti illustri. Anche la Dop dell’olio è stata una conquista, perché, in questo luogo tenue di case paesane, di forestali in attesa di lavoro, di galline in mezzo alla strada e di poca attrattiva per il turismo, la cultura dell’ulivo ha sempre mancato la conoscenza necessaria per apparire. Così, chi la serietà la vive come una missione, tra Ventimiglia e Caccamo, può fare un olio che non esiste, fuori da qualsiasi logica, con quella tranquillità da assenza di concorrenza e mercati inesplorati che è già racconto.

Giovanni Manzella è nato qui, si è trasferito sulla Milano-Torino, ha costruito ricchezza, ha dato tutto in mano ai suoi figli ed è tornato in Sicilia per fare il suo olio. Ora, in un pomeriggio assolato agostano, l’immagine reale è quella di un cavallo fermo sulla piazza del frantoio. Lì, senza un movimento, con il cielo e il giallo prefabbricato alle spalle. Un Magritte surrealista senza una spiegazione razionale se non quella della compagnia. Sì, perché Giovanni è tornato a produrre olio da solo. L’eremo di sofferenza l’ha portato alla mancanza produttiva. Prima, negli anni floridi della ricchezza settentrionale da rimettere in circolo, ha ampliato i suoi ettari di oliveto, scendendo fino al lago e portandoli ad una cinquantina, e ha costruito un frantoio, senza alcun senso economico, visto che il contoterzismo è circoscritto a pochi amici, facendo della filiera corta la sua missione, a metà strada tra la credenza e la propaganda.

Olio denocciolato di Biancolilla e di Nocellara, un frantoio privato, (de)gradazioni di terreno coltivato, una raccolta pre-invaiatura, una prova su una sola particella di terra (attraverso un costante innaffiamento) di un olio con oliva da raccogliere a fine agosto, con rese bassissime e acidità pressoché assente, una Dop (quella della Valle di Mazara… conquista dell’incedere dei tempi…), una totale conversione al biologico, un menefreghismo di fondo, un disinteresse per la vendita in Sicilia, un fastidio per i metodi coercitivi, uno spandimerdismo come deterrente comunicativo e quell’accento apolide della persona che ha perso tutto e sta provando a ripartire.

Le mie orecchie si sono aperte e si sono chiuse. Il mio palato è rimasto stupefatto. Dove la bontà del prodotto è andata oltre l’umanesimo del produttore. Soldi investiti, tecnologia e tempi a cui conformarsi. Così Giovanni, pur non rispettando alcun luogo comunicativo e ruotando intorno ad un’eccentricità indolente , mi mette al naso un olio memorabile: leggero da Biancolilla, colorato da denocciolato, persistente da Nocellara, poco piccante, verde cerimonia, frutta secca, una punta di cardo, poco corposo, nessuna impurità, un leggerissimo fruttato per accontentare tutti e una delicatezza fuori da quel mondo.

Ciclo continuo, bassa temperatura di lavorazione, estrazione soffice per mantenere il più possibile inalterata la qualità, pulizia perpetua e una straordinaria cantina ad umidità naturale dove i silos sono il compimento del suo processo.

La scelta economica, quella incomprensibile dall’assolato bevitore di caffè nel bicchierino di plastica, lo ha portato fuori, verso mercati più grandi, verso soddisfazioni che lui non nega e non rinnega. Il gastronomo ha l’attenzione dell’evento. E se c’è una filosofia dietro tutto, quella è la strada. Giovanni commercializza a suo marchio qualche prodotto territoriale, dalla salsa di ciliegino al vino, ha cominciato a produrre i suoi cereali ed è in mezzo ad una logica che gli leva tempo. Ma credo che il suo bisogno, in questo momento reale, sia questa stasi. Il dopo potrebbe essere il suo olio e una comunicazione più patinata, ma è veramente tutto lì in un cucchiaio…

 

AZIENA AGRIBIOLOGICA MAIA

VIA GARIBALDI 15

VENTIMIGLIA DI SICILIA (PA)

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