Un pizzaiolo di strada… Giò Mandara

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Reggio Emilia. La borghesia va blandita lentamente. In quelle strade, tra quei teatri, tra quegli acciottolati e in quelle scarpe con il tacco in gomma che circoscrivono l’autorità, i cani sono ancora avvolti in copertine anti-freddo, mentre fuori esplode la primavera del sarcasmo. Così impiego una buona mezz’ora a cambiare piazza, a guardare getti d’acqua e a sbirciare tra gli aperitivi rimasti classici nelle noccioline e nel Crodino. Un sabato mattina senza fretta mi porta di fronte allo Spazio Gerra, un posto che non avrei pensato, contemporaneo e luminoso. Qualcosa di più simile ad un bistrot, da artista squattrinato ripulito giusto in tempo per la mitologia della foto a tutti i costi. Ma quando Giovanni Mandara è arrivato qui, a fine anni ’80, questo sfavillio non era così definito. Prima della rivoluzione, qui c’era un vecchio albergo. Poi, a metà anni ’90, Giò, pizzaiolo di Tramonti, il paese dei pizzaioli abbandonato dai pizzaioli, che la pizza “napoletana” l’ha sempre vista come una base di partenza e mai come un approdo, ha deciso di puntare sulla qualità. I viaggi in giro per l’Italia, la stabilità a Reggio, la famiglia sempre accanto, qualche maestro panificatore, andato in pensione troppo presto per una necessità venuta meno, e lo studio di tutti i forni possibili, gli hanno permesso di determinare la “sua” pizza, che non ha compromessi, che non è simile a nessuna, che si porta dietro dei difetti di profumo e delle perfezioni di durata. Il suo lavoro su fermentazioni e conservazioni ha messo al centro l’uomo e il suo saper fare.

Così ha deciso di mettersi in macchina e di cercare produttori con un umanesimo. Questo negli anni ’90 post-atomici. Ha trovato in Puglia lo Spirito Contadino per le sue verdure, nell’agro nocerino-sarnese i suoi pomodori, Corbarino e San Marzano, a Lari, dal simpatico Parisi, le uova (con quella sofisticazione patinata insita nel nome…) e il lardo, a Piacenza l’aglio, in Costiera il “suo” origano, a Gaeta le olive, a Montoro la cipolla, a Borgonovo Val Tidone il prosciutto cotto, a Langhirano la pancetta, ad Aspra le acciughe, nel nulla di una ricerca da perfezionare i formaggi di capra, a pochi metri il Parmigiano-Reggiano, a San Secondo da Massimo Bonini il caffè, la ricetta della confettura di anguria bianca da due anziane tra Modena e Bologna, e a tre kilometri dalla sua pizzeria la “sua” mozzarella di bufala. Giò, per un periodo, se l’è fatta mandare da un caseificio di Battipaglia ma il viaggio era già una prevaricazione. Così, ha trovato Giuseppe Cervo, un aversano che lavorava il latte di Bufala e che da poco ha aperto il suo bistrot, con caseificio a vista, Bufala & Caffè. Latte dalla bassa cremonese e lavorazione casertana (come dice Antonio Palmieri, a Caserta ci sono grandissimi casari e pessimi allevatori…). Giuseppe ha deciso che l’allevamento non era il suo. Così si è dedicato alla caseificazione e alla freschezza. Uno dei migliori prodotti “da caseificio” che si possa trovare. Il rettifilo Battipaglia-Paestum è un susseguirsi di ombre torve. La pasta è filata bene, estremamente fragrante, filatura a ottanta gradi, un filo di acidità finale, una durata breve che necessita la giornata. Giò ha colto l’occasione e non se l’è lasciata sfuggire.

La pizza ha una farina di forza di un mulino locale, una parte del sale sostituita da una salamoia a riposo per un giorno, un impasto basico con quasi cinque giorni di maturazione a tre gradi, 1% di lievito di birra, un lavoro enzimatico che digerisce il digeribile e una scelta definita: cottura più lunga a temperatura più bassa. La sua eccentricità è racchiusa in un impasto con acqua di mare e grano arso, difficile, con una sapidità equilibrata e un ritorno amaro da accoppiamenti dolci. La pizza classica ha un pregio fuori dall’ordinario: conserva il gusto nel tempo. La croccantezza non degrada. Dalla prima fetta al riscaldamento serale. Digeribile, morbida, con delle scelte definite anche nel topping. Dai tradizionali napoletani alla gastronomia contemporanea. Difetti marginali: una ricerca eccessiva dei bilanciamenti tra i sapori e una fragranza della pasta che non esce per limiti molitori. La Manitoba a cilindri ha gli stessi limiti che hanno quelle di tutti i mulini industriali italiani. Ma la pizza di Giovanni ha un senso, economico, domestico, culturale e gustativo. Qui si mangia ancora il produttore.

Ecco il suo umanesimo e la sua soddisfazione.

Giovanni è un pizzaiolo di strada che ha trovato un luogo dove mettere radici. Fuori è uno showman con una pizza roteante, un po’ imbonitore e un po’ prestigiatore, lì, a Reggio, a casa sua, è un’impressione sincera di ricerca. La sua è una storia di soddisfazioni e di crescita, assolutamente fuori dal conformismo. Un artigiano senza lamentela e senza retaggi…

 

PICCOLA PIEDIGROTTA

PIAZZA XXV APRILE 1

REGGIO EMILIA (RE)

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