Bologna, mentre il sole decade e si colora ruggine, è di una bellezza sdilinquente. Pingue come solo i ducati sanno essere, senza nemmeno più bisogno della collina e dei retaggi gastronomici. Il mio ricordo della città, nebbioso, vorticoso e assolutamente gelido, è rimasto impacciato e si è messo in discussione attraverso il paesaggio: attraverso via Drapperia, immagine ghiotta e focolare di una Vucciria palermitana quantomai spietata, via Castiglione, le sue diramazioni e i suoi mendicanti invecchiati insieme alle strade e tagliati dal freddo come non fossero mai usciti dall’incubo della necessità, piazza Maggiore, con quelle facciate che non lasciano nulla all’immaginazione e quel passeggio che non ha una direzione se non quella dell’esserci lì ed ora, via Galliera, cupa, sepolta con i portici a volte schiaccianti e sali e scendi tra mercati e piazzette. Bologna ha una borghesia laterale che costruisce case con giardini per proteggere la propria ipocrisia e il ritorno dei figli disillusi e sudici di vita, e una miscellanea d’inaspettato che la pervade a folate, come se non ci fosse altro da fare che infondere splendore e sovrabbondanza in luoghi partecipati, noiosi, adatti, politici ed economicamente legati al disinteresse. Bologna è una chiacchiera continua di voci senza direzione. E così, prima di perdermi anche io, prendo la decisione di camminarla obliquamente con la pancia satolla e il palato stupefatto. Tutto ciò grazie o a causa di Francesco Elmi e della sua Regina di Quadri.
Porta Castiglione è comoda per tutto. E una piccola boutique in centro è quello che mancava ad una città senza rivoluzione. Francesco Elmi è un enfant prodige: a nemmeno dieci anni era già in cucina a sfornare sfrappole, poi è cresciuto alla Pasticceria Calderoni e grazie all’impronta lievitista di Rolando Morandin, uno di quei maestri girovaghi per cui l’età è nulla più che un orpello. La grande pasticceria è arrivata con il tempo e con il tempo è arrivato un piccolo laboratorio dove non tradire l’arte che l’ha reso grande. Così la fama, le Accademie, i corsi e le televisioni sono entrati sempre dalla finestra. Prima di tutto la bottega. E lì ha accolto con sé una squadra di professionisti equilibrata e particolarmente funzionale: tra gli altri, Ildi, dietro il banco, che ha la capacità rara della forma sconosciuta, quella per cui tutti i clienti sono uguali e Pierluigi, 22 anni, calabrese, che insieme a Francesco ha preso in mano i lievitati, seguendo qualche corso con Gianni Tomasi, dandone un lustro sconosciuto. Un pandoro così buono non lo mangiavo dai tempi in cui Biasetto faceva ancora “solo” il pasticciere. Lievito madre, bassa aromatica, umido e friabile insieme, il pastoso è sempre connaturato ad un’idea di sofficità molto al di là di qualunque digressione. Il Panettone, grande classico della pasticceria accademica, non eccede e non sprovvede. È agrumato, ben filato, sfiocca alla perfezione, molto carico di carotenoidi e assolutamente burroso. E ci sarebbe anche il Nadalin che traspare in mezzo a quei dolci incontenibili, in un ambiente limitato ma corroborante. Trovare un lievitato così in forma non è roba da periodo natalizio. Anzi. Il resto è classicismo rivisitato. Un bellissimo utilizzo del mascarpone nel tiramisù che diventa una spuma, della Foresta Nera dal pan di spagna leggero, della torta di riso e del Certosino che fanno capolino tra la tradizione e il Natale. Lavoro su nocciole e pistacchi un po’ mellifluo ma assolutamente coeso con il gusto degli altri.
È che la percezione non rende mai giustizia alla finalità. Riempire locali senza aiuti esterni, con la sola impostazione di un’idea chiara, dove in laboratorio ci si sta, in pochi, in spazi ristretti, sfornando la tipicità di una pasticceria di quartiere, cittadina, italiana e internazionale, è un pregio senza eguali. Passando dalle forme delle madeleine ai canelé fino alla zuppa inglese, Francesco Elmi è stato in grado di controbattere l’autorità lavorando su un gusto pieno, deciso, assolutamente pulito. E la coesione non ha bisogno di urla e consigli, si può anche stare sulle proprie tracce, tagliare una fetta di pandoro e guardare l’effetto che fa…
PASTICCERIA REGINA DI QUADRI
VIA CASTIGLIONE 73
BOLOGNA